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sabato 23 febbraio 2008

Il tappeto inteso come opera d'arte

Da oggetto d'uso a oggetto di culto il tappeto annodato divenne presto anche la più pura e ricercata espressione artistica di un popolo (quello islamico) che per precetto coranico era obbligato a esprimersi nel più ferreo aniconismo (divieto di riprodurre immagini).Quando in Persia nel 1502 il sultano Shah Ismail I sconfisse i Timuridi fondando la potente dinastia dei Safavidi, il tappeto annodato infatti conobbe la sua più grande rivoluzione artistica, la trasformazione da oggetto di uso e di culto in opera d'arte. Gli illuminati monarchi riuscirono a unire dal punto di vista territoriale e a fondere culturalmente tutto il mondo iraniano, trasformandolo in uno degli stati più evoluti dell'Asia. Lungo tutta la dinastia (che perdurò fino al 1736) i Safavidi si proposero come attivi mecenati e raffinati estimatori dell'arte: le città furono abbellite con eleganti opere architettoniche; la corte divenne un punto d'incontro e di lavoro per miniaturisti, pittori, orafi e naturalmente tessitori. I Safavidi promossero innovazioni tecniche e decorative di così vasta portata da caratterizzare i tappeti persiani fino ai nostri giorni. I manufatti annodati divennero i depositari privilegiati di importanti aspetti dell'estetica e della cultura locale; iniziarono perciò ad essere decorati con un tripudio di disegni naturalistici dalla strabiliante policromia, una vera e propria sinfonia di fiori, eleganti palmette, sinuosi arabeschi, calligrafie volute. Si realizzarono i primi tappeti a giardino, che spesso riproducevano una vegetazione lussureggiante ravvivata da tersi corsi d'acqua, esplicito riferimento all'idealizzazione del paradiso islamico. Il tappeto inteso come opera d'arte dunque, una strada nuova, che prosegue tutt'oggi attraverso la continua ricerca del perfezionismo, della finezza del punto, della scelta di materiale di prim'ordine e persino dell'inserimento (tra le trame) di metalli nobili come fili di oro e argento.Manifestazioni di questa filosofia di pensiero sono gli atelier delle grandi città persiane (uno fra tutti è quello del grande maestro Habibyan), i musei dedicati a quest'arte, la straordinaria bellezza e perfezione di alcuni esemplari particolarmente significativi in Persia come in Turchia e che devono venire intesi come il traguardo insperato e la capacità straordinaria dell'uomo, capace di confezionare nodo dopo nodo l'arte e il paradiso fatto tappeto.

Liberamente adattato da "Tappeti" De Agostini


Uno splendido tappeto persiano della manifattura di Nain


La foto del maestro scomparso Habibyan

1 commenti:

antonio ha detto...

Volevo aggiungere che il grande mecenatismo e la libertà culturale Safavide, fu dimostrato da questi sovrani, quando aprirono manifatture nella regione caucasica, Shirvan e Karabagh principalmente. Infatti, non costrinsero le genti di quell’area ad annodare esemplari con schemi cari alla rinascita persiana, come da loro voluto in patria, ma lasciarono che l’iconografia caucasica, votata al simbolismo geometrico, continuasse secondo uno stile autoctono. Quanto al aniconismo, vorrei precisare che non una Sura coranica lo vieta ma un’Hadit, ovvero un detto attribuito da suoi allievi al Profeta dopo la sua morte. Infatti, nel mondo sciita, meno curante delle hadit, questa osservanza è stata spesso ignorata. Un saluto.