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mercoledì 30 aprile 2008

Lettere a "Tappetorientale": Affermazioni televisive

Un lettore mi ha scritto:

Caro Alberto, volevo segnalarti una "strana" affermazione fatta da un noto esperto di annodati, nonché perito CEE e di Tribunale, che presentando un tappeto di manifattura tedesca, di cui sinceramente ne ignoravo l'esistenza, lo ha definito « a pelo e non tipo kilim, come i tappeti francesi ed inglesi ». A me risulta che i "Savonnerie" ed una parte della produzione "Aubusson", che solo dal XVIII° secolo realizzo tappeti con tecnica ad "arazzo"(non a kilim), e la stragrande maggioranza della produzione inglese, escluse quelle a piccolo punto ed uncinetto, sono tappeti annodati, spesso definiti "alla turca", mi chiedo: ma prestano attenzione a ciò che si dice, o va tutto bene, tanto nessuno capisce! Comunque, quel tappeto tedesco era veramente particolare. Il presentatore, lo ha descritto come realizzato da una manifattura definita "haken" (uncino) che ha operato tra la seconda parte dell'ottocento e i primi anni del novecento. Il nodo descritto, definito "a riccio", mi è parso di capire sia simile a quello attualmente usato a Kirman per prodotti di qualità corrente. Il disegno, per quanto ricordo, è ispirato dal famoso tappeto a vasi "Figdor", collezione Thyssen-Bornemisza, anche se meno fluido e più rigido.
Un saluto. Antonio

Risposta

Caro Antonio, non so chi sia l'esperto in questione, ne mi interessa saperlo. Credo e spero (visto che si tratta -a quanto dici tu- anche di un perito di tribunale) che si tratti di un lapsus, poichè i particolarissimi tappeti europei erano così simili originariamente a quelli orientali (non solo nel nodo) che i primi esemplari annodati in Francia nel 1600 venivano denominati tappeti "dits de Turquie" oppure "à la facon de Perse et du Levant". I primi tappeti annodati in Inghilterra creati sotto Enrico VIII ripetono dapprima i motivi anatolici e sono eseguiti con nodo turco, ma ben presto risentono influenze più prossime ed alcuni imitano modelli francesi o spagnoli, talvolta eseguiti con nodo arabo-spagnolo, ma rimanendo sempre chiaramente tappeti annodati. Tappeti che piatti non erano, ma che presentavano una lavorazione di piccolo punto erano quelli di una certa manifattura francese di Aubusson, esistevano anche lavori all'uncinetto e la meravigliosa arte dell'arazzo. Tuttavia l'arte del tappeto annodato rimase ben viva nei paesi occidentali almeno fino a metà dell'800, esemplari e cronache storiche a supporto di questa incontrovertibile verità sono innumerevoli: basti pensare ad alcuni noti Savonnerie con l'effige di Napoleone, ai tappeti di Versailles, a quelli inglesi della collezione Mayorcas o dei musei di Londra o a quelli del collegio Pembroke di Cambridge . Sotto il regno di Elisabetta I, Morgan Hublethorn fu mandato in Persia per studiare e osservare la confezione e la colorazione dei tappeti che poi in Inghilterra dovevano venire replicati nella loro tecnica di esecuzione, e nel 1755 Thomas Witty, proprio uno degli artigiani premiati dalla società "Royal Society of Arts", costruiva sul fiume Axe una piccola manifattura di tappeti annodati destinata a passare alla storia col nome di Axminster. Potrei continuare ad elencare nomi, date, manifatture e cronistorie, ma è un argomento -le manifatture europee- che cercherò di trattare singolarmente, una ad una, magari dedicando un articolo alla settimana, senza così correre il rischio di apparire troppo prolisso in un unico contesto. Del resto è solo quando sono a piccole dosi che le informazioni vengono assorbite con una certa facilità, e lo scopo di questo blog è proprio quello di "attrezzare" l'utente e l'appassionato di quelle nozioni indispensabili per un acquisto consapevole.
Un' ultima cosa mi preme sostenere: anche in questo caso è stato dimostrato quanto sia necessario adoperarsi (in qualità di acquirente) nella ricerca di informazioni e comparazioni, senza fermarsi al primo esperto o venditore. Gli strumenti oggi, rispetto a 30-40 anni fa ci sono tutti: dalle pubblicazioni ai siti internet, sta all'acquirente informarsi e controllare le fonti.
Un saluto

martedì 29 aprile 2008

Il tappeto Afghano

I tappeti cosidetti "afghani" intesi come zona geografica "non sono prima di tutto affatto annodati da afghani, ma da artigiani turcomanni abitanti in Afghanistan, fa notare E. Gans Ruedin nel suo piccolissimo ma non per questo meno prezioso, libretto sui tappeti "Tapis d'Orient" edizione Payot. Essi comprendono tre tipi principali di produzione nettamente diversi tra loro:

I tappeti Afghani (molto diffusi e conosciuti in occidente)
I tappeti Baluci (prodotti da quei nomadi stanziati al confine tra Iran e Afghanistan nella regione del Khorassan)
I tappeti Herat (che prendono il nome dalla città di Herat).


I primi due gruppi fanno parte stilisticamente dell'area turcomanna, il terzo di quella classica persiana. La produzione afghana (Herat a parte) non è mai stata considerata (salvo rari casi) come raffinatissima dagli intenditori di tappeti, eppure essa detiene un primato di vendite sia in Inghilterra che in altrettanti mercati Europei. Le ragioni con cui gli studiosi giustificano questo apparente disaccordo, sono le più varie, resta comunque il fatto che la simpatia, anche se non la qualità, della produzione afghana, è tra le più alte riscosse dai tappeti annodati. Questo successo non può ridursi al prezzo basso dei manufatti, va anzi riconosciuto che il tappeto afghano ha una semplicità che corrisponde spesso a purezza di stile, un cromatismo caldo che riesce gradevole al gusto occidentale; una comprensibilità di decorazione che colpisce il compratore inesperto. Si tratta infatti di tappeti facilmente riconoscibili, ma che hanno un certo "carattere". Sono tappeti sostanzialmente scuri, il colore di fondo è rosso scuro o rosso bruno, o rosso marrone, e su questi rossi i disegni risaltano in toni di blu, marroni, viola e neri, con motivi di rosso più vivo. Il disegno non si distacca quasi dalla preferenza per il poligono, o medaglione o ottagono inquartato o esagono, molto simile al "gul" dei "Bukhara" turcomanni; esso viene composto sul fondo del campo in due o tre (raramente una sola) file parallele, bordo contro bordo nel senso della lunghezza, separate tra loro da piccoli motivi geometrici o semplicemente dal fondo campo nel senso della larghezza. La grandezza del poligono varia in proporzione alle dimensioni del tappeto, ma resta comunque molto maggiore di quella dei "gul" dei "Bukhara". Al centro del poligono vi è spesso un "gul" più piccolo o una croce uncinata o un rombo che divide l'interno in quattro quarti, nei quali risaltano coppie e gruppi di fiorellini trilobati o alberi stilizzati o motivi geometrici e schematizzazione di animali. I bordi non superano le cinque cornici, anzi spesso si accontentano di una più larga accostata a due minori, e presentano in quella più ampia dei riquadri con stelle o fiori geometrizzati.

lunedì 28 aprile 2008

Il tappeto Caucasico

Il territorio istmico del Caucaso si estende tra il Mar Nero e il Mar Caspio, comprende numerosissime realtà locali ed è impossibile inserire la sua realtà etnico culturale in una precisa collocazione. Il Caucaso fu interessato dalle migrazioni continue di popoli e di civiltà che, sovrapponendosi alle stirpi autoctone, resero quanto mai complesso il panorama razziale della zona. Oggi il popolo caucasico è suddiviso in una miriade di gruppi: georgiani, circassi, ceceni, lesghi, avari; accanto a loro vivono etnie di antica origine persiana, turca, russa, armena, araba, ebrea, curda, mongola, ecc ecc. L'incredibile eterogeneità delle civiltà ha lasciato un segno tangibile nei tappeti locali, che sotto molti aspetti si possono considerare la felice sintesi di culture differenti. La catalogazione e la classificazione geografica dei tappeti caucasici è per questo molto difficile se non alcune volte addirittura impossibile. In quasi tutte le espressioni iconografiche di questi tappeti esistono almeno tre comuni denominatori: il disegno geometrico, l'uso quasi sempre esclusivo di lana, la densità dei nodi, che non è mai altissima e che insieme al rigore dei disegni esprime quella rudezza tipica dei popoli di montagna. L'arte del tappeto nel Caucaso vanta tradizioni antichissime, tanto che secondo alcune teorie, potrebbe avere proprio un'origine caucasica il Pazyryk; i primi esemplari i nostro possesso tuttavia risalgono solo al XVII secolo e provengono dal Karabagh al tempo dominato dai persiani. Furono infatti proprio i Safavidi a promuovere prestigiose manifatture, alle quali commissionarono fastosi tappeti di corte. La tradizione manifatturiera fiorì contagiosa ben presto anche presso i gruppi nomadi e nei villaggi, dove si realizzarono esemplari di rara bellezza decorativa. Il dominatore Russo purtroppo impose il controllo su molte manifatture, costringendole a produrre discutibili tappeti floreali di gusto francese destinati all'esportazione. Creati da gente di montagna, povera e solitaria, i tappeti del Caucaso conservano nei colori e nel disegno il riflesso di una certa fatica non disgiunta da rude bellezza. Si tratta nel complesso di un genere di tappeto apprezzato sia dagli esperti che dai dilettanti, grazie alle sue caratteristiche spontanee ed istintive, molto diverse dalle perfezioni raffinate di una certa produzione iraniana. Anche per questo il tappeto caucasico è oggi oggetto di collezione e di investimento, perchè se nell'ultimo quarto di secolo la storia ci ha dimostrato che scuole e manifatture persiane pregiate riescono a superare se stesse e a rilanciarsi e a reinventarsi anche grazie alla tutela dei governi locali (vedi Nain e Gabbeh), i tappeti caucasici intesi appunto come la produzione tipica ed originaria di questi popoli di montagna sono invece destinati a scomparire.

Alcune note manifatture caucasiche:

Chi-Chi
Karabagh
Shirvan
Perpedil
Talish
Kazak
Baku
Kuba

domenica 27 aprile 2008

Il tappeto Indiano

Tutto iniziò a partire dal XVI secolo, quando l'India era dominata dalla dinastia Moghul, fondata da Babur nel 1526 e rimasta al potere fino al 1858. Si narra che nel 1544 l'imperatore indiano Humayun fu costretto a rifugiarsi temporaneamente in Persia, presso la corte del sultano safavide Shah Tahmaps, per salvarsi da una rivolta afghana che metteva in pericolo la sua vita.Quando l'imperatore indiano potè ritornare in patria, lo fece portando con sè un gruppo di artigiani e maestri disegnatori di tappeti generosamente concessigli dal sovrano amico safavide. Così, in pochi anni, anche in India vennero aperti dei laboratori manifatturieri ad Agra, Lahore e Fatehpur, a cui i regnanti Moghul commissionavano superbi esemplari. Quest'epoca d'oro diede alla luce splendidi manufatti ancor oggi conservati nei più famosi musei del mondo, la loro caratterizzazione, pur nascendo dall'influenza persiana era viva particolarità di disegno e architettura negli impianti, con prevalenza assoluta di argomenti naturalistici.
Ma quando nel 1858 la dinastia Moghul perse il potere, cedendo dapprima a invasioni afghane e iraniche, poi alla colonizzazione inglese, la tradizione di annodare meravigliosi tappeti cadde in una irreversibile crisi. Oggi il tappeto indiano (salvo rare eccezioni) non possiede caratteristiche proprie nè significativo valore economico, in quanto la produzione locale su domanda, fa si che prevalgano modelli di imitazione. Questa mancanza di specializzazione si traduce in scadenti copie di manufatti persiani, di cui si tentano di imitare disegni e impianti. I tappeti indiani sono l'espressione di una stanca e poco originale trasposizione di motivi delle età passate, la maggior parte di essi ha colori tinti chimicamente, trama e ordito sono in cotone anzichè in lana, questo permette però un'annodatura molto fine e precisa. La nettezza del disegno e la solidità della contestura spesso con ordito doppio e file di trama triple o quintuple passate tre volte ciascuna dopo ogni fila di nodi costituiscono i pregi principali di una produzione che gli intenditori di tappeti considerano di genere corrente.

Alcune produzioni indiane:

Agra
Fathpur
Jabalpur
Jaipur
Lahore
Kashmir

sabato 26 aprile 2008

Il tappeto Turco

Sia gli studiosi in materia, sia le più autorevoli pubblicazioni che trattano tale argomento, ammettono che l'arte del tappeto annodato ha visto i primi albori nelle steppe dell'Asia centrale e seguendo la scia delle tribù nomadi turche, si è estesa fin sulle sponde del Mediterraneo, comprendendo una zona ben delimitata in cui gli artigiani hanno svolto e svolgono tutt'ora tale arte. Di origine Turca discendevano i Mamelucchi ed i loro tappeti, ai turchi va il merito di aver influenzato i tipi dei tappeti spagnoli, a loro si riferivano gli inglesi del Settecento quando definivano qualsiasi tappeto annodato a mano proveniente dall'oriente. Il tappeto turco quindi, con il suo nodo, i suoi disegni caratteristici, con i suoi materiali, ha un passato di oltre 2000 anni e lo si può considerare pertanto il precursore dei "tappeti orientali". La Turchia occupa di diritto uno dei primi posti nell'intera storia del tappeto: e turco è il centro più antico di cui si conserva ancor oggi la produzione: quella città di Konia, antica Iconium, capitale della regione omonima posta nella Turchia centro-meridionale, di cui parla anche Marco Polo nel capitolo XV del Milione. Turchi furono i tappeti dei "pittori" come Giotto, Simone Martini, Beato Angelico, ed altri ancora che raggiunsero nel 1400 tale interesse da venir citati con il nome di Holbein da Hans Holbein che li ripetè con esattezza scrupolosa in alcuni suoi dipinti. Anatolico infine è il gruppo dei tappeti di Transilvania o Siebenburghen.
Il percorso tecnico ed artistico dei tappeti turchi, lungo e complesso, caratterizzato dalle vicissitudini storiche del territorio e degli apporti di diverse popolazioni, passa dai tappeti Selgiuchidi appunto di Konia, fino agli splendidi Usciak ottomani, dove esperti annodatori e maestri appresero con abilità le tecniche del complesso nodo asimmetrico e gli impianti a medaglione centrale della Persia Safavide. Da ricordare la manifattura imperiale di Herekè destinata a soddisfare le committenze dei sultani, anche come preziosi doni da offrire alle diplomazie straniere. Produzioni come quest'ultima sono rimaste il fiore all'occhiello della moderna Turchia e si esprimono attraverso atelier come la scuola di HEREKE' UGHLU' che pruduce pezzi unici su committenza. Ma anche i tappeti in pura lana di carattere nomadico o comunque di confezione casalinga mantengono spesso ancora vivo quello stesso spirito e quegli stessi disegni che che Marco Polo vide e descrisse nei suoi viaggi. A seconda dell'uso e quindi anche delle dimensioni i tappeti turchi hanno denominazioni diverse e in base ad esse vengono confezionati in dimensioni fisse ed eguali in ogni regione. Così abbiamo gli Yastik (cuscino) a indicarci la misura 60 x 100, i Ceyrek (tappetino) 135 x 90, i Seccade (Preghiera) 200 x 130, i Karyola (coperta da letto) 150 x 220, kellè (tappeto normale) 300 x 200, Taban (grande tappeto) oltre i 6 mq, ed infine gli Yolluk (guide) stretti e lunghi.

Alcune tra le più note produzioni turche:

Herekè
Kayseri
Canakkale
Bergama
Edremit
Yagcibedir
Kula
Milas
Dosemealti
Yahyali
Maden
Taspinar
Konya-Ladik
Kars
Wan

venerdì 25 aprile 2008

Il tappeto Persiano

Forse i primi tappeti non furono realizzati da popolazioni iraniche, tuttavia in Persia la tradizione dell'annodatura raggiunse livelli così elevati da costituire l'aspetto più importante dell'arte locale.
Dagli Ilkhanidi, ai Timuridi, fino ai Safavidi, la storia del tappeto persiano segue una sua evoluzione stilistica (attraverso le varie dinastie che si susseguono) praticamente unica, che non ha eguali nel mondo dei tappeti orientali.
Nel tappeto Persiano le correnti ornamentali tradizionali sono principalmente due: quella che vede un medaglione centrale e quella che organizza il campo con motivi sparsi, ripetuti o disposti in reticolati, grate e file. I soggetti possono essere floreali come geometrici, la bordura ha sempre funzione fondamentale nell'architettura generale del tappeto, rispondendo anch'essa a stili e proporzioni ben precise. Il materiale era anticamente costituito soprattutto di lane (ovine, caprine o di cammello) e seta, oggi vi si aggiunge moltissimo cotone, soprattutto nell'armatura (trama e ordito). L'annodatura è eseguita, secondo i casi, con nodo sennèh o ghiordès (in parole persiane "farsibaff" e "turkbaff"), e la a fittezza è variabile. La corrispondenza del nome del tappeto con il nome della città in cui esso è stato prodotto non può essere considerata come un valore assoluto, purtroppo la produzione moderna persiana organizzata commercialmente dalla domanda del mercato extranazionale ha determinato il nascere di tappeti che vengono indicati con il nome di origine ma che prescindono completamente da esso. In altri casi il nome del manufatto indica il nome delle popolazioni nomadi che lo avevano fatto o persino solo il disegno che lo caratterizza. E' anche vero però che in Iran l'occidentalizzazione dei tappeti e la loro produzione in serie (esempio famoso sono i Saruq americani) non provocò mai effetti così negativi come invece avvenne in altri paesi orientali come ad esempio India e Pakistan. Questo anche grazie ad una serie di leggi che tentarono di arginare alcuni tra i più deleteri effetti dell'industrializzazione con sanzioni a volte molto drastiche. Nel 1903 ad esempio, lo Scià Nasser-ed-Din emanò un provvedimento che puniva con il taglio della mano destra gli artigiani che utilizzavano tinte chimiche all'anilina. Questa scelta di salvaguardare la buona qualità dei tappeti Persiani continuò anche nel xx secolo e conobbe nello Scià Reza Pahlavi uno dei più convinti sostenitori. Grazie a lui nel 1936 nacque la Compagnia Nazionale del Tappeto (Sherkate Fars), che svolse una capillare opera di controllo e di organizzazione, promuovendo corsi, scegliendo laboratori per preparare filati di qualità, selezionando manifatture in città e in campagna a cui poi venivano fornite ottime materie prime e cartoni rigorosamente controllati. La scelta si rivelò proficua e lungimirante e salvaguardò almeno in parte alcune produzioni che a tutt'oggi spiccano tra le migliori. Con la crisi del mercato internazionale e la competizione Indo-Cinese in paesi molto importanti come la Russia, la produzione persiana ha rilevato negli ultimi anni un brusco rallentamento nelle ordinazioni, resta comunque una delle produzioni più prolifiche, con centinaia di manifatture. Considerando la carta geografica dell'Iran secondo i punti cardinali, queste produzioni si possono radunare in quattro zone di produzione:

Zona del Nord
Ardebil - Kashan - Nain - Tehran

Zona dell'Ovest
Bijar - Joshagan - Heriz - Hamadan - Kirman - Mahal - Malayer - Mossul - Saruq - Sennèh - Tabriz - Qum

Zona dell'Est
Meshed - Mud - Kain - khorassan

Zona del Sud
Abadeh - Baluchi - Isphahan - Bakhtiari - Shiraz - Yazd

Tappeti Persiani, Turchi, Afghani, Caucasici, Turcomanni, Indiani, Pakistani

Dopo questa settimana di "passione" con il pc che aveva fatto i capricci, torno finalmente a seguire questa rubbrica che come ho potuto vedere dai dati rilevati del contatore è decisamente molto seguita, anche in assenza di novità!
Prima di aprire però la nuova stagione del blog con le rubriche dedicate alle manifatture specifiche, voglio in una decina di giorni aprire una premessa, dedicata alla "razza" del tappeto.
Partirò con una breve descrizione del tappeto Persiano, proseguirò con il tappeto Turco, quello, Indiano, quello Caucasico e via via. Penso sia una premessa obbligata per un progetto "editoriale" che vuole in fondo toccare argomenti anche più approfonditi, ma che non può farlo se non partendo prima dalle basi generali della conoscenza del tappeto che per molti digiuni e profani alle prime armi è sicuramente indispensabile.

Entro stasera incomincerò con IL TAPPETO PERSIANO.

giovedì 17 aprile 2008

Il declino del tappeto Persiano

Contemporaneo al declino dei Safavidi inizia il declino del tappeto persiano.
I Qajar non ebbero tempo, o gusto, da dedicare ad esso, mentre gli Europei per parte loro contribuirono a rendere affare esclusivamente commerciale quella che era autentica forma d'arte. Dal 1800 al 1900 si svolgono pertanto contatti tra la Persia e l'Europa moderna rappresentata da vari paesi e realtà commerciali , il tutto mentre l'interno del paese è travagliato da crisi continue tra correnti di costituzionalisti e assolutisti.
Dapprima i tedeschi (ditta Ziegler) e gli inglesi, poi anche gli americani scavalcarono i commercianti persiani impiantando direttamente delle manifatture in Persia, e distribuendo ordinazioni tali da condizionare l'intera produzione nazionale, standarizzandola secondo le esigenze occidentali. L'inizio della nuova era di produzione partì da Tabriz, da sempre centro commerciale vivacissimo, poi si allargò ad Arak, a Kirman e ad Hamadan, assumendo caratteristiche sempre più universali e confusionarie. A seconda della richiesta infatti, ogni ditta straniera richiede alle manifatture ed agli artigiani che lavorano per lei, la produzione dei vari tipi di tappeti indicati finora con il nome della zona di provenienza ormai ristretto solo a significare indicativo. Si producono cioè, a Hamadan dei tappeti Tabriz destinati al mercato americano, o dei Kirman, dei Meshed, dei Bukhara, e lo stesso avviene in molti altri luoghi della Persia, era il l'inizio del declino del tappeto persiano.

mercoledì 16 aprile 2008

Parigi come Tabriz - I tappeti europei

Furono gli Orientali che rivelarono agli Occidentali il piacere fisico, estetico e mentale che dà la convivenza col tappeto. Il piacere del piede, che, silenzioso e morbido, si posa sul bel tessuto; il piacere dell'occhio, che gode dei suoi colori e disegni dalle mille invenzioni; e infine il piacere della mente, che, inseguendo i suoi racconti arcani e segreti, accende la fantasia. Da queste nuove, insospettate sensazioni, gli Occidentali trassero l'ispirazione per dar vita al "loro tappeto", che seppero arricchire e completare con l'apporto dei frutti della loro cultura e civiltà. La conquista di Spagna da parte degli Arabi e dei Mori prima (secoli VIII - XV), le Crociate poi, i viaggi di Marco Polo (1254 - 1324), le ambasceria veneziane (dal XIII secolo in avanti), l'espansione coloniale portoghese (iniziatasi nel XIV secolo) e i tappeti Safavidi giunti presso tutte le corti d'Europa, furono i primi apportatori in Europa del tappeto annodato. Qui i continui contatti e scambi con l'Oriente, oltre che al desiderio di possedere i tappeti, suscitarono anche il desiderio di crearli; fu così che l'arte dell'annodatura si affiancò alle altre espressioni dell'arte tessile, che in Occidente aveva ormai raggiunto una raffinatezza estrema. Ai tappeti che ornavano le case dei ricchi e dei potenti (che in un primo tempo erano esclusivamente orientali) si aggiunsero quelli che si vennero creando in Europa. Abilissimi maestri europei, avvalendosi della tecnica appresa dagli Orientali, si dedicarono a questa nuova forma d'arte, intima ed esteriore ad un tempo, e seppero creare a loro volta esemplari perfettamente aderenti al gusto dei loro paesi. Perduta la primitiva ingenuità, gli antichi modelli orientali si deformano e quindi si trasformano secondo i nuovi stili, che seguono di pari passo l'evolversi della cultura europea. Con scrupolosa osservanza dei canoni stilistici d'ogni epoca e di ogni paese, vediamo il tappeto occidentale adeguarsi, e talvolta imperare, su tutte le altre forme d'arte decorativa. Ciò avvenne soprattutto nel periodo che va dalla metà del 1600 alla metà del 1800, cioè nei due secoli in cui lo stile dell'epoca era il "sine qua non" dell'arredamento e in cui i tappeti occidentali avevano raggiunto la perfezione di gusto e di equilibrio compositivo tale, che si può dire costituissero la base e il punto di partenza di tutte le altre forme d'arte. La derivazione orientale dei tappeti europei è così inconfondibile, che i primi esemplari che furono eseguiti in Francia nel 1600 venivano denominati tappeti "dits de Turquie" oppure "à la facon de Perse et du Levant".Le decorazioni murali, i mobili, le porte, le stoffe i soprammobili e qualsiasi altro oggetto destinato a far parte e a dar vita ad un ambiente, tutto era coerente ed in armonia con la composizione ornamentale e figurativa del tappeto.

martedì 15 aprile 2008

Tappeto e poesia

Risale proprio all'epoca del rinascimento lo splendido tappeto dedicato allo scià Shāh Ṭahmāsp e conservato nel museo Poldi Pezzoli di Milano. Sulla sua bordura è riportata in caratteri cufici una composizione poetica, nella quale all'oggetto è attribuito un volto, simbolo di una precisa individualità:

"Felice il tappeto che divene l'ombra dei passi del re di un convitto.
Egli si sacrifica sulla via come il sole; si offre ai suoi passi con la sua candida lanugine.
Questo non è un tappeto, è una rosa bianca; è un prato simile agli occhi delle vere Urì.
E' un giardino colmo di fiori rossi, di gigli e di rose, ed i gorgheggianti usignoli ne hanno fatto il loro nido.
Dai disegni della sua trama sgorgano scintillanti cascate d'acqua, che conducono alla fonte della giovinezza.
Le figure delle fiere gli danno vita.
Meglio che le gote delle Dee, egli somiglia alla rosa, un cespo di rose arrossisce al suo apparire, per la confusione e la vergogna.
Un roseto è un giardino di spine in confronto alle sue rose.
Il suo volto è seducente come quello della bianca luna.
La foglia che somiglia alla palpebra del suo occhio ammicca piacevolmente.
In nessun punto si può vedere un errore contro la grazia.
Da ogni lato sono in ben vista i gigli scarlatti :
giardino di gigli rossi, come le labbra di fuoco del paradiso,
esso non teme nè la porta, nè la strada , nè la pioggia, nè il vento dell'autunno, quando la rosa gialla si mostra.
Nessuno come quì, ha mai visto la luna vicino al sole.
La sua trama è stata filata con il filo dell'anima: l'hanno filata per Dario , signore del mondo.
O aquila reale, leva le mani e prega, perchè quì finisce l'arte!
O Eterno: questa rosa pura è nata nell'orto della speranza in Te.
Fa che sia un tappeto sotto i piedi di Dario signore dell'universo, che sia come un tenero fiore nel suo giardino regale.
Amen"

sabato 12 aprile 2008

Il Milione - le cronache di Marco Polo

Prefazione

Grazie ai Safavidi il tappeto orientale entrò rivoluzionariamente nelle case reali e nobiliari, basti pensare che solo qualche secolo prima nel 1255, i londinesi si scandalizzavano per l'acquisto di un tappeto che venne steso sul pavimento in occasione dell'ingresso di Eleonora di Castiglia a Westminster. La mentalità era finalmente cambiata, in questo contesto di cambiamento iniziarono le grandi spedizioni in oriente, i mercanti veneziani ne erano il capostipite, lungo la via della seta, uomini di tutti i paesi iniziarono a inoltrarsi lungo l'Asia minore e la Persia alla ricerca di tappeti che poi sarebbero stati venduti alle migliore casate europee. Durante il Rinascimento vennero importati in Europa dall'Oriente diversi tappeti, un enorme successo (anche pittorico) lo riscontrarono alcuni Ushak di piccolo formato: la loro decorazione era costituita da grandi motivi geometrici e da un elegante arabesco dai colori piuttosto forti, coi fondi generalmente di colore rosso e i bordi costituiti da un disegno cubico assai stilizzato o da motivi floreali in genere di colore blu. I grandi pittori fissarono con estrema precisione lo stile di questi tappeti raffigurandoli nelle loro tele. L'italiano Lorenzo Lotto (1480-1556) dipinse nei suoi quadri un gran numero di questi tappeti dai disegni angolosi, tanto che essi presero ben presto il nome dal pittore, perdendo così il nome d'origine. Ma il capostipite di questa nuova epoca: quella in cui l'uomo europeo, liberatosi ormai delle paure dell'alto Medioevo, si affacciava al mondo esterno con sguardo curioso e indagatore, come un conquistatore sicuro di sé e dei propri mezzi, fu primo fra tutti Marco Polo, ed il suo Milione divenne la Bibbia di questa nuova filosofia.

Il Milione

Il Milione è un'opera saggistico-biografica che narra dei viaggi di Marco Polo. Al suo ritorno dalla Cina nel 1295, la famiglia Polo si sistemò nuovamente a Venezia, dove attiravano folle di persone con i loro racconti incredibili, tanto che qualcuno ebbe difficoltà a credere che fossero stati davvero nella lontana Cina.
L'animo avventuriero di Marco Polo lo portò fino a partecipare nel 1298 alla Battaglia di Curzola (Korčula in croato) combattuta dalla Repubblica di Genova contro la Repubblica di Venezia, ma venne catturato e tenuto prigioniero per alcuni mesi. In questo periodo dettò in lingua d'oïl a Rustichello da Pisa (anch'egli prigioniero dei genovesi) Le deuisament du monde, un racconto dei suoi viaggi nell'allora sconosciuto Estremo Oriente, poi conosciuto anche come Il Milione .
L'originale è andato perduto, e sfortunatamente molte edizioni tradotte dall'originale sono in conflitto tra di loro (una versione francese deriva dalla versione latina, evidentemente più diffusa che non l'originale). Gli autori francesi apportarono delle correzioni personali e modifiche linguistiche sia durante sia dopo il periodo del Rinascimento, aggiungendo icone e qualche pittura miniaturizzata che se da una parte servivano ad abbellire l'opera rendendola più gradevole, dall'altra lo impoverivano sul piano della scoperta facendolo passare per uno scritto denso di fantasticherie e relativo a un mondo inesistente o immaginario.
Solo durante il periodo dell'Illuminismo si tenderà a rivalutare il testo più antico e fedele al vero Milione e a dargli il posto che merita nella storia delle esplorazioni.
Il Milione, pur nelle sue contraddizioni è un testo sacro per gli studiosi della tappetologia, in quest'opera infatti Marco Polo descrive in ampi passi, con la sua minuzia e precisione qualità e storia dei tappeti che egli stesso vide, regalando così a tutti una testimonianza inesauribile di congetture ed informazioni sulle quali ancora oggi si dibatte. Ma soprattutto quest'opera, stabilisce un punto fisso, quello nel quale è possibile inquadrare una certa produzione, anatolica o armena (quì stà il dilemma causato dalle inesatte traduzioni) all'interno dell'evoluzione storica del tappeto annodato.

20"Qui divisa de la provincia di Turcomannia.In Turcomannia è tre generazione di genti. L'una gente sono turcomanni e adorano Malcometto; e sono semplice genti e ànno sozzo linguaggio. E' stanno in montagne e 'n valle e vivono di bestiame; e ànno cavagli e muli grandi e di grande valore. E gli altri sono armini e greci che dimorano in ville e in castella, e viveno di mercatantia e d'arti. E quivi si fanno li sovrani tappeti del mondo ed i piú begli; fannovisi lavori di seta e di tutti colori. Altre cose v'a che non vi conto. Elli sono al Tartero del Levante.Or ci partiremo di qui e anderemo a la Grande Arminia.

Marco Polo



venerdì 11 aprile 2008

I tappeti Safavidi nelle corti dei Re

Come già detto ieri, il primo sovrano Safavide fu Ismail che regnò dal 1499 al 1523; egli pose la capitale del regno a Tabriz. Il suo successore Thamasp-Shà ingrandì le manifatture di corte precedentemente istituite da Ismail e fondò altri laboratori. Sotto di lui, e sotto Sha' Abbas (1587 e 1629) si annodavano tappeti oltrechè a Tabriz a Kashan, a Meshed, Kirman, Herat, Joshagan, Karabagh, Hamadan, Ardebil, ecc ecc. Da Hamadan, uscì per esempio, una commessa dello Sha' destinata a Solimano I il magnifico (1520 - 1566), il sultano turco che portò all'apogeo l'Impero Ottomano sconfiggendo i Mamelucchi d'Egitto e facendo di Costantinopoli una favoleggiata capitale. Da Isphahan, città divenuta capitale con Thamasp e poi con Abbas, in seguito alla riconquista di Tabriz da parte dei turchi, nacquero altri tappeti destinati acorti orientali ed occidentali. All'Italia ad esempio dove il Papa Urbano III ne ricevette in dono a Roma, mentre altri vennero recapitati a Venezia al Doge Marino Grimani; alla Cina dove regnavano gli imperatori Ming e da cui il tappeto persiano riceve suggerimenti di simboli (il tchi), di coloritura (gli azzurri) e di raffinatezze tecniche (taglio del pelo ad altezze diverse); alla Polonia, dove il re Sigismondo III intorno al 1600 attende l'arrivo di un intero stock di esemplari ordinati alla Manifattura di Corte per mezzo del mercante armeno Muratowicz (da cui prende origine l'interessante gruppo di tappeti detti "polacchi"); alla Svezia, il cui re ricevette nel 1639, un esemplare di bellezza eccezionale, oggi conservato nel castello di Rosengborg a Copenaghen.



Particolare di un tappeto in seta dell'epoca Safavide

giovedì 10 aprile 2008

La data sui tappeti

Un amico, su ispirazione di un thread dedicato alla data dei tappeti sul forum di infotappeti mi ha chiesto di approfondire questo argomento anche nel mio blog.
Colgo l'occasione al balzo per pubblicare questo articolo fuori programma dalla scaletta che mi ero prefissato, per sopperire all'articolo che domenica non pubblicherò, in quanto sarò particolarmente impegnato.

L'età del tappeto raffigurata sul vello
Alcuni esemplari sono datati sul vello con un numero, che può essere arabo o anche latino. I numeri arabi si scrivono in maniera diversa dai numeri latini e sono:



Il calcolo esatto della data islamica sia che questa venga espressa in numeri arabi sia che venga espressa in numeri latini si esegue tenendo presente il calcolo del differente anno "0" del mondo islamico da quello cristiano. Per gli islamici l'anno "0" non è quando nasce Gesù Cristo, ma bensì 622 anni dopo, anno della fuga di Maometto dalla Mecca. Bisogna inoltre tenere conto che l'anno islamico è più breve del nostro e conta circa 11 giorni in meno.Se la data del tappeto ad esempio è 1200, bisogna sottrarre 1/33 della cifra, e cioè

1200/33 = 36
1200 - 36 = 1164

A questa cifra bisogna poi aggiungere la differenza con l'anno dell'egira e cioè 622, quindi

1164 + 622 = 1786

Il 1786 d.C. corrisponde alla data di fabbricazione del tappeto in questione.Va anche detto che non sempre l'iscrizione della data di annodatura può e deve essere considerata come un valore assoluto, alcune volte il tappeto datato nel vello può essere un falso, nel chiaro tentativo di conferire al pezzo un valore aggiunto. Per evitare di cadere in errore non esiste un metro di misura assoluto da utilizzare sempre, se non appunto una certa esperienza che possa permettere una valutazione del pezzo nel suo insieme, data eventualmente compresa.

Il rinascimento Safavide

Quando dall'Azerbaijan scesero i re Safavidi (nel 1502 in Persia il sultano Shah Ismail I sconfisse i Timuridi) per la Persia e il tappeto Persiano fu la sua più crande rivoluzione artistica. Gli illuminati monarchi riuscirono a unire dal punto di vista territoriale e a fondere culturalmente tutto il mondo iraniano, trasformandolo in uno degli stati più evoluti dell'Asia. Lungo tutta la dinastia (che perdurò fino al 1736) i Safavidi si proposero come attivi mecenati e raffinati estimatori dell'arte: le città furono abbellite con eleganti opere architettoniche; la corte divenne un punto d'incontro e di lavoro per miniaturisti, pittori, orafi e naturalmente tessitori. I Safavidi promossero innovazioni tecniche e decorative di così vasta portata da caratterizzare i tappeti persiani fino ai nostri giorni. I manufatti annodati divennero i depositari privilegiati di importanti aspetti dell'estetica e della cultura locale; non c'è nessun dubbio, anche in Asia il Rinascimento aveva portato la sua ventata di rinnovamento artistico e scientifico. Ma i Safavidi non si preoccuparono solamente dell'arte Persiana, da buoni mecenati artistici questi sovrani, aprirono manifatture nella regione caucasica, Shirvan e Karabagh principalmente, e non costrinsero le genti di quell’area ad annodare esemplari con schemi cari alla rinascita persiana, come da loro voluto in patria, ma lasciarono che l’iconografia caucasica, votata al simbolismo geometrico, continuasse secondo uno stile autoctono. I tappeti Safavidi raggiunsero ben presto la corte dei Ming, quella romana del Papa e quella dei dogi a Venezia, ma di questi tappeti e di altri voglio parlarne domani, aprendo uno specifico articolo.

A domani.

mercoledì 9 aprile 2008

Il tappeto di Tamerlano

Mentre il potere dei mamelucchi aumentava, quello dei mongoli era destinato irrimediabilmente all'oblio; uno degli ultimi discendenti mongoli che diede lustro all'impero mongolo fu Tamerlano, fondatore della dinastia timuride, attiva in Asia Centrale e nella Persia orientale tra il 1370 e il 1507. Da lui discese poi Babur (1483 - 1530), fondatore della dinastia Mogul in India.
Personalmente non assunse mai altro titolo se non quello di emiro, o Grande Emiro, come per ribadire costantemente il fatto che governava soltanto in nome del Gran Khan dei mongoli. Assunse peraltro anche il titolo di Khaghan.
Conquistò un vasto impero che abbracciava le odierne nazioni centro-asiatiche dell'Uzbekistan, parte del Kazakistan, il Turkmenistan, la Kirgizia, l'Iran, e la Georgia. Sottomise l'India Tughlaq (1398-99), il Sultanato mamelucco (1400) e l'Anatolia ottomana arrivando a sconfiggere i cavalieri di Rodi (1402-1403) anche se queste ultime conquiste rimasero in mano ai Timuridi solo per pochi anni, tornando agli antichi detentori subito dopo la morte di Timur nel 1405.
Tamerlano diede un forte impulso all'arte del tappeto annodato (vedi arti timuridi), tanto da poter essere considerato il precussore dei famosi tappeti Mogul in India e dei famosi Bukhara; significativo era poi il valore attribuito al suo tappeto "imperiale": il rapporto di Sharaf al-din Alì Yazdi in "Zafar name" parla infatti del tappeto imperiale e da trono di Tamerlano, in assenza di questi, il tappeto aveva funzione di sostituto e le legazioni straniere dovevano baciarlo e fargli atto d'ossequio. Con la morte di Tamerlano il fiorire dell'arte del tappeto annodato era ormai destinato ad altre patrie: i Mamelucchi come già precedentemente accennato, e i Safavidi in Persia, ma di questo ne parleremo domani.



Un'antica miniatura ritraente Tamerlano seduto sul trono, ai piedi di lui: un tappeto di genere turcomanno.

martedì 8 aprile 2008

I tappeti Mamelucchi

Se si considera gli anni di lotte che videro di fronte Mongoli e Mamelucchi diventa curioso sottolineare come proprio nel campo del tappeto essi invece si trovasssero su un piano di collaborazione. Anche i Mamelucchi infatti, in modo ben più determinante dei Mongoli, diedero un contributo fondamentale al tappeto annodato classico.
La dinastia mamelucca, inizia nel 1250 con un colpo di stato contro la dinastia Ayyubbide allora padrona dell'egitto. In tale periodo, si sviluppano rapidamente questi loro tappeti, molti dei quali sono destinati alle corti principesche. Sono tessuti in seta e lana di altissimo pregio, i nodi arrivano a superare il milione al metro quadro, e sono contraddistinti da una raffinata sensibilità artistica e cromatica. Ma i tappeti Mamelucchi erano destinati a protrarsi nel tempo, persino a sopravvivere alla loro dinastia, nonostante la decadenza di questi, avvenuta nei primi del Cinquecento, il sultano Murad III nel 1585 ordina il trasloco delle maestranze artigiane delle manifatture egiziane fondate dai decaduti Mamelucchi dalla città del Cairo fino alla capitale ottomana di Costantinopoli, per impedire l'interruzione di questa principesca produzione.
Il tappeto mamelucco egiziano proveniente dalla Galleria del Costume di Palazzo Pitti (metà del XVI secolo): è l'esemplare più grande conosciuto al mondo per questa tipologia, con i suoi 11 X 4 metri circa. Si tratta di un reperto bellissimo e straordinario per importanza, dai colori sfavillanti, un regalo per Lorenzo il magnifico ricevuto nella metà del 1400 da parte del Sultano Mamelucco d’Egitto e che sembra riconoscibile nel tappeto cairino citato nel guardaroba mediceo nel 1557.

Antico frammento di tappeto mamelucco

lunedì 7 aprile 2008

La valanga mongola

Dalla fine del XII secolo agli inizi del Quattrocento si succedono le invasioni mongole nel Medio Oriente. Ma invece di costituire un punto di arresto nell'arte del tappeto, la valanga prima e la civiltà mongola dopo, ebbe l'effetto di trasportare motivi nuovi, scambi, conoscenze ed accorgimenti tecnici che permisero al tappeto orientale di sopravvivere e di continuare a conquistare notorietà nel mondo, allora conosciuto. Basti pensare ad alcuni motivi come la svastica e i tre puntini a triangolo. Certo i Mongoli, pastori e guerrieri nomadi provenienti dagli Altai, conoscevano i tappeti tessuti a telaio e destinati al suolo delle loro yurte, ma l'intelligenza che li contraddistinse seppe presto apprezzare il livello di raffinata civiltà di altri tappeti aulici e cittadini trovati e razziati nei palazzi e nelle corti. L'inglese A. C. Edwards, nel volume "The Legacy of persia" ad esempio, scrive che: Rukh, figlio di Timur Khan protesse l'artigianato del tappeto persiano promuovendone la produzione ed innalzandolo ad arte tra le più nobili.


domenica 6 aprile 2008

I tappeti di Konia

Intorno al 1000 l'avvento della dinastia turca dei Selgiuchidi contribuì alla diffusione di tipi di tappeti fino ad allora sconosciuti dal grande commercio e dal gusto internazionale. Imposta la loro dominazione sulla Persia (1060-1094) i Selgiuchidi stabilirono a Konia la capitale del loro impero ed a questa città risalgono parti di tappeti dell'Asia Minore che sono attualmente conservate nel museo Evgaf di Istanbul, mentre altre, di tappeti caucasici, sono esposte al museo di Berlino ed al museo Nazionale di Stoccolma. I primi frammenti databili al 1100 - 1200 si trovavano nella moschea di Aladino ed in quella di Beyscheir e, secondo gli esperti, possono provenire dal Turkestan o almeno echeggiare motivi turcomanni. Ma Marco Polo che, come diremo avanti, li cita con l'esattezza che lo distingue, precisa che essi sono invero confezionati da tessitori greci e armeni. Al lettore dunque la soddisfazione di fare congetture proprie, magari rivolgendosi al celebre quadro quattrocentesco del Ghirlandaio conservato negli uffizi di Firenze, dove, ai piedi della "Vergine in Trono col Bambino, Angeli e Santi" è dipinto con secca precisione un tappeto simile a quelli tanto discussi di Konia.

Tratto da: "I TAPPETI" DI M. l. VARVELLI

sabato 5 aprile 2008

La yurta e il tappeto: filosofia degli uiguri

Tappeti annodati e di feltro rappresentano un elemento fondamentale nell'ambiente nomadico degli uiguri e di tutte le popolazioni dell'Asia centrale, e lo fanno svolgendo non solo un elemento decorativo all'interno della yurta o ger (così viene chiamata la loro tenda), ma anche significando il concetto della permanenza precaria sul territorio che una volta usato, goduto, apprezzato poi viene lasciato com'era. Quale altro manufatto infatti può venire preso, arrotolato, portato con sè, iniziato nel suo confezionamento e lasciato e ripreso in qualsiasi istante, continuato da mani diverse, eseguito nell'angolo di una tenda senza arrecare alcun disturbo alla vita che gli si svolge intorno, richiedendo solo una matassa di lana e una forbice?
Le yurte, sono sistemate solitamente secondo le previsioni di pascolo e non devono essere distanti più di una decina di chilometri dal luogo di pastura; quando la distanza tra mandria e tende è tale che per andare dall'accampamento alla mandria e tornare occorre quasi una giornata a cavallo i pastori provvedono a smontare le yurte ed avvicinarsi alla mandria. La yurta è una tenda rotonda, del diametro di quattro-sei metri, La struttura principale è composta da un muro circolare, formato da stecche di salice le sue pareti si chiudono a pantografo e sono tenute assieme da lacci (di pelo di cammello) e rivestite con tappeti di feltro. La porta è rigorosamente disposta verso sud, per motivi geomantici o religiosi, ma anche per avere una migliore protezione dai fortissimi venti siberiani provenienti da nord. Questa struttura composta dal muro e dalla porta è inoltre sorretta e contenuta da una corda che, oltre ad irrobustire la struttura, evita che sotto il peso del tetto il muro si pieghi verso l'esterno. Il tetto di forma conica è formato da pali di abete del diametro di pochi centimetri disposti a raggiera, che, partendo dal muro e collegandosi perfettamente in una delle articolazioni dello stesso, convergono verso una corona centrale, o anello di compressione, la cui apertura funziona da sorgente di luce e da camino. All'interno il muro di stecche di salice è rivestito con tessuto o tappeti. Nella maggioranza dei casi anche il pavimento è di feltro e d'inverno tra due strati di feltro viene sistemato un materasso di erbe secche per un maggior isolamento termico. All'interno della yurta tutto è disposto in modo da trarre il massimo vantaggio da uno spazio molto ristretto; l'organizzazione e la disposizione degli oggetti rispecchiano secoli di organizzazione familiare. L'interno contiene molti letti che servono da sedie durante il giorno, svariati tappeti, un armadietto e una tavola bassa su cui si posa il cibo; vicino all'ingresso si trova la zona cucina con i suoi utensili.
Il nome yurta è di antica origine turca, lingua comune al mongolo originata della stesso ceppo linguistico uralo-altaico, ed in mongolo ha assunto il significato di territorio sul quale un'entità sociale aveva abitudine di condurre vita nomade. Sono stati i russi che hanno abbandonato il significato originario e hanno utilizzato la parola yurta per indicare la tenda dei nomadi. Ancora oggi sopravvive nella lingua turca la parola Yurta con il significato di patria, accampamento o più comunemente domicilio. Il nome mongolo con cui viene indicata la tenda è invece Ger.
La visita a una yurta implica un rigoroso rituale protocollare. Se una persona entra nella yurta di un capo senza preavviso, questa può essere duramente punita.
La mentalità nomade era condizionata dall'ambiente asprissimo di una natura intatta, legato ai tre valori fondamentali che sempre hanno segnato la vita delle popolazioni nomadi della steppa: il proprio corpo, la yurta, il bestiame. Tutto si misurava e si comprava con queste tre categorie di valori, anche sul piano morale. Il tappeto rientra perfettamente in questa filosofia ecocompatibile e fra questi nomadi era ed è diffuso l'utilizzo di impianti e motivi semplici e geometrici, simili ai gul del Turkestan Occidentale. Oggi il progresso forzato della Cina, con i suoi grattacieli, le sue autostrade, le sue ferrovie, il suo esercito di occupazione e la sua moneta sta letteralmente distruggendo questo patrimonio etnico e storico, depauperando una volta per sempre queste testimonianze ancora viventi della vita nomadica nelle steppe.
Lo stile di vita degli uiguri e la loro realtà costituiscono la rappresentazione dell'antico passato, quello che era e quello che sarebbe stato e che vive ancora oggi nelle trame dei loro tappeti. La "cinesizzazione" forzata del territorio e delle genti è un olocausto orribile, che purtroppo ottiene risposte di violenza altrettanto orribile, (è solo di poche ore fa la notizia di una donna uiguri che si è fatta esplodere in un Bus a Urumqi) è disgustoso pensare che gli interessi dell'economia mondiale possano venir supportati dal piccolo egoismo degli sportivi e dell'opinione pubblica che pur di non perdere quest'occasione, preferiscono chiudere gli occhi e celebrare l'evento olimpico che con i valori della Cina comunista non hanno nulla a che spartire. Personalmente Non mi piace che una nazione come la Cina, che non rispetta i diritti umani, ospiti le Olimpiadi, perchè queste sono simbolo di umanità, pace e fratellanza fra i popoli e non una vetrina propagandistica per riverginare un paese che tutt'ora sta colonizzando con la forza realtà culturali che non sono sue.

Si conclude questo breve spazio dedicato alla realtà degli uiguri e dello Xinjiang o Turkestan Orientale, domani ricomincia il percorso sulle orme del passato antico del tappeto annodato.



venerdì 4 aprile 2008

L'arte del tappeto nello Xinjiang

Tappa obbligata lungo la via della seta che per duemila anni ha visto scorrere con le carovane di cammelli il commercio fra Oriente e Occidente il Turkestan Orientale ha vissuto vicende storiche piuttosto complesse. Se l'influenza cinese iniziò a farsi sentire già prima dell'età cristiana favorendo persino l'introduzione del buddismo, a partire dal IX secolo il territorio subì alterna ingerenza di Arabi e Turchi. Da questa miscela di razze e da questo incrocio di destini nacque l'humus particolarissimo che tutt'oggi contraddistingue il Turkestan Orientale altrimenti conosciuto dai cinesi come Xinjiang. Dopo alterne vicissitudini, nel 1211 il Turkestan Orientale venne conquistato dai Mongoli di Gengis Kahn e sotto di loro conobbe un'epoca di splendore che durò fino al XVI secolo. I dominatori contribuirono a dare impulso all'arte dell'annodatura che era già diffusa nel paese sin dagli arbori della civiltà, come dimostrano anche gli antichi affreschi di Turfan e alcuni frammenti di tappeti rinvenuti. Furono così fondati dalla corte, dei laboratori nelle oasi di Kashgar, Yarkand e Khotan, quando la regione venne annessa alla Cina, la tradizione continuò; risalgono infatti al Settecento i più antichi tappeti locali, già al tempo indicati con il termine generico tutt'ora in uso, di Samarcanda (nome delle città in cui venivano smerciati).

I simboli
Molto ricorrente è il simbolo del melograno, non mancano tappeti a giardino di influenza Moghul o Persiana, come dimostra la ricorrente rappresentazione del motivo "herati". Significativo l'apporto iconografico e culturale della Turchia, testimoniato soprattutto nell'uso del motivo a preghiera multipla detta "saf". Utilizzato anche il motivo "gul" in particolare negli esemplari nomadi.

Struttura e dimensioni
Solitamente gli antichi tappeti venivano confezionati per ricoprire il Kang delle dimore nobiliari; erano pertanto ampi e abbastanza lunghi. Nati per una richiesta d'élite, potevano essere anche molto ricchi; per questo motivo a volte un filo di rame placcato oro o argento veniva ritorto insieme a pura seta, per costituire un vello ricchissimo e luminoso.
Per l'armatura era molto utilizzato il cotone, unito alla lana per le atre parti, il nodo asimmetrico.


Un antico Khotan a motivo "saf".

giovedì 3 aprile 2008

I tappeti dello Xinjiang

Fuori programma
Il governo di Pechino è riuscito a nascondere la notizia per dieci giorni, poi ieri le autorità locali dello Xinjiang hanno ammesso che ci sono stati degli scontri nella zona islamica il 23 e 24 marzo. Ancora una volta gli echi della repressione scuotono l'Asia e la coscienza collettiva ponendo il mondo di fronte ad un altro genocidio umano, culturale, ed etnico, completamente taciuto, quello dello Xinjiang. Anche questa volta apro una parentesi fuori programma, per parlare nei prossimi giorni di una cultura che come quella tibetana è messa altrettanto a rischio e che da secoli vede nei tappeti una delle sue maggiori espressioni artistiche.

Il dramma dello Xinjiang
Nel corso degli ultimi due millenni, la regione dello Xinjiang è stata governata dall'Impero Turcomanno, dal Tibet, dal Regno Uiguro di Idiqut, dallo Yarkland Moghul Khanate, dagli Zungari e per circa 125 anni dalla Dinastia Han e da quella Tang. L'impero Qing cotrollò il territorio della regione fino alla conquista da parte dell'Imperatore Manchu Qianlong nel 1758. Il controllo Manchu era esercitato dal Generale di Ili, di stanza a Gulja. Yaqub Beg ottenne l'indipendenza dello Xinjiang a spese del governo Manchu nel 1864 Nel 1877 i Manchu ripresero il controllo del territorio e nel 1884 stabilirono la provincia dello Xinjiang (nuova frontiera). Durante la tarda Dinastia Quing la maggior parte dello Xinjiang nord-occidentale fino al lago Balkhash fu governata dall'Impero Russo. Nei primi anni trenta del secolo scorso una ribellione contro il governatore Yang Zengxin portò alla fondazione della Prima Repubblica del Turkestan Orientale. Sheng Shicai, signore della guerra di etnia Han, controllò lo Xinjiang per il decennio successivo. Grazie all'aiuto sovietico venne fondata nel 1944 la Seconda Repubblica del Turkestan Orientale (conosciuta anche come ribellione dei tre distretti) nel territorio dell'attuale prefettura autonoma di Ili Kazakh nel nord dello Xinjiang. L'esperienza della Seconda Repubblica del Turkestan Orientale si concluse nel 1949 quando l'Esercito di Liberazione Popolare Cinese prese il controllo dello Xinjiang. Da allora in tutto lo Xinjiang le autorità cinesi mantengono un controllo severo su ogni manifestazione religiosa, le moschee sono piene di telecamere della polizia. Il governo locale in mano ai cinesi controlla le madrasse, sottopone il clero islamico all’indottrinamento politico, e sceglie perfino le versioni del Corano. In dieci anni, Pechino ha inviato nella regione più di un milione di contadini provenienti da ogni parte del Paese, e ormai sono quasi 8milioni i cinesi di dinastia Han che hanno raggiunto e colonizzato lo Xinjiang. I nuovi coloni hanno iniziato a stravolgere le abitudini e le libertà di cui godeva la minoranza musulmana compromettendo, vita, abitudini, cultura. Più numerosi dei tibetani, gli uiguri sono circa 16 milioni e la differenza etnica rispetto ai cinesi Han è ancora più netta: questa popolazione turcomanna ha caratteri somatici tipici del Medio Oriente, parla una lingua turca e si sente affine alle popolazioni islamiche dell’Asia centrale. La Cina li sta schiacciando con il mescolazionismo e là dove non basta con la repressione armata, le deportazioni, le fucilazioni, gli arresti. Si fa un gran parlare delle occupazioni americane nel mondo come in Iraq ad esempio, ma chissà perchè si tace da 60 anni sulla sistematica e spregevole occupazione Han dello Xinjiang.

La cultura uiguri
Lo Xinjiang è una regione storica, misteriosa, culla e cerniera dell'Asia e dei popoli occidentali europei. Quì oltre agli uiguri di chiara matrice mediorientale esistono ancora popolazioni bionde dai caratteri somatici europei, si dice facciano parte di una discendenza di soldati di Alessandro Magno, che anzichè ritornare in patria si stabilirono in questa remota e singolare regione. Quì sono stati trovati interessantissimi reperti archeologici, quì sono stati scoperti gli antichissimi affreschi di Turfan nonchè preziosissimi frammenti di tappeti antichi, quì si tessono ancora splendidi tappeti a disegno "Melograno" conosciuti come Khotan e Samarcanda. La cultura uiguri non è cultura cinese, piuttosto la testimonianza tutt'ora esistente di una cultura antica, protocinese in un habitat particolarissimo che l'immissione di milioni di individui Han pregiudicherà per sempre.

Gli incidenti
L’epicentro della sommossa si è avuto nella città di Khotan e nella prefettura di Qaraqash, a quasi duemila chilometri dalla capitale regionale, Urumqi. A scatenare la rabbia dei musulmani sembra essere stata la morte in carcere di un loro leader, Mutallip Hajim, 38enne ricco mercante di giada, notabile rispettato per le sue attività filantropiche nella comunità islamica. Arrestato in base ad accuse ignote, Hajim è stato in prigione per due mesi.La polizia ha chiamato la famiglia perché venissero a riprendersi la sua salma, sostenendo che era morto in ospedale per arresto cardiaco. Il decesso sospetto ha fatto esplodere una rabbia contro il dominio cinese che nello Xinjiang è da sempre latente. I manifestanti hanno rilanciato antiche rivendicazioni: la scarcerazione di tutti i prigionieri politici, la libertà religiosa, la facoltà per le donne di portare il velo. Il grosso dei cortei di protesta all’inizio sono stati formati proprio da donne, diverse centinaia di loro si sono messe in marcia verso la stazione degli autobus di Lop.Quando gruppi di uomini si sono uniti alla protesta la polizia li ha circondati arrestando più di 400 persone. Dieci giorni dopo gli incidenti, le testimonianze che giungono da Khotan parlano di una città tuttora sotto assedio, con i ristoranti vuoti e un coprifuoco di fatto.

L'atto simbolico di "Tappetorientale"
Un paragrafo (che si protrarrà per qualche giorno) dedicato ai tappeti degli uiguri (meravigliosi tappeti a melograni) è il tributo minimo che si possa riconoscere a questa popolazione, il cui disastro taciuto non riduce la gravità del suo olocausto, ma anzi aumenta le colpe di un occidente cieco e insensibile che per ragioni di geopolitica, ed ora, pure di profitto, nega questo disastro. Ho sostituito inoltre il nastro nel head del sito con uno nuovo, dedicato allo Xinjiang, perchè la sensibilità verso questo patrimonio umano, artistico, culturale ed etnologico merita perlomeno di essere manifestata attraverso il silenzioso dissenso dei nostri portali web.
Chi fosse interessato a fare altrettanto nel proprio sito può farlo prelevando questo codice per poi inserirlo nella parte head del proprio blog o sito:

Codice





Particolari di preziosi e antichi tappeti Khotan.

mercoledì 2 aprile 2008

Lettere al "Tappetorientale": "riconoscere un tappeto annodato da uno macchinizzato"

Un lettore mi ha scritto:

Ciao. Mi chiamo Antonio e da qualche tempo mi sono avvicinato al mondo dei tappeti, in particolare quelli persiani, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo spiegare ma soprattutto perché mi affascinano.
Navigando per internet ho trovato una miriade di siti (tra venditori e divulgativi) che però mi fanno confondere molto le idee. Esiste un libro divulgativo che mi permetta l'avvicinamento al mondo dei tappeti, magari imparando a riconoscere a vista un annodato a mano da un annodato a macchina o un nodo persiano da un nodo turco?
Se esiste sei in grado di indicarmelo?
Ringrazio e complimenti per il sito che sicuramente non rientra fra quelli che fanno confondere le idee.

Antonio.


Risposta

Carissimo Antonio
Innanzitutto grazie per i complimenti sul sito. Libri buoni ce nè sono a bizzeffe, ti consiglierei, visto che sei solo agli inizi, delle semplici opere introduttive e di carattere generale all'argomento e non troppo specifiche (una delle guide compatte come quella della DeAgostini può andare benissimo, anzi..).
Riconoscere un tappeto annodato da un falso è un argomento che volevo trattare in futuro nella maniera più dettagliata possibile, ma voglio comunque elencarti quì di seguito (con il corredo di qualche immagine) un breviario molto rapido ed utile per identificare istantaneamente un tappeto annodato da uno macchinizzato


La frangia
Nei tappeti fatti a mano la frangia è parte integrante del manufatto, essa infatti costituisce i fili dell'ordito.
Nei tappeti fatti a macchina la frangia è invece solitamente "riportata" a trame avvolte.

La pieghevolezza
I tappeti fatti a mano sono piegabili e arrotolabili in tutte le direzioni.
I tappeti macchinizzati spesso sono arrotolabili solo da un lato e quando sono nuovi (specie gli acrilici) sono impossibili da piegare.

Il rovescio
Il disegno di un tappeto annodato dal rovescio è nitido.
Dal rovescio di un machinizzato il disegno non è sostanzialmente comprensibile.

La materia prima
Tappeti annodati vengono confezionati in lana, cotone o seta.
Tappeti macchinizzati possono essere spesso confezionati in acrilico

La consistenza
Tappeti annodati possono presentare consistenza floscia o semirigida a seconda del materiale e della serratura delle trame.
Tappeti macchinizzati presentano spesso una consistenza rigida e il vello è stopposo simile alla moquette.

Ecco infine un raffronto sul rovescio tra tappeto macchinizzato e tappeto annodato

Immagine liberamente adattata da: http://www.jacobsenrugs.com/

Riconoscere un nodo da un altro è invece cosa un po più complessa, elementi di riscontro si possono avere attraverso l'osservazione del rovescio come del vello. Più avanti non mancherò di trattare anche questo aspetto.

Nella speranza di esserti stato utile, ti invito a seguire costantemente il blog.
Cordialità.

Alberto.

La passione dei Califfi

Nel 700 a.C. i tappeti divennero la passione dei Califfi, uno di essi: l'Omayyade Hisham, si fece fabbricare un tappeto che misurava approssimativamente 50 metri per 100; alla sua morte, avvenuta nel 734 d.C. il raro esemplare passò ai Califfi della dinastia Abbasside e ancora nel 850 d.C. ornava le sale del palazzo del Califfo Mutawakil a Baghad. Un altro Califfo, Harun-al Rashid era anch'egli talmente appassionato di tappeti da averne raccolti moltissimi (si narra addirittura l'enorme cifra di 20mila esemplari) nel suo palazzo di Bassora, dove regnò tra la fine del 700 e l'inizio dell'800.
In quei secoli la produzione dei migliori tappeti era in due località della Persia: Fars e Qainat. Nello stesso periodo ne venivano tessuti ed annodati anche in Egitto: alcuni frammenti, che risalgono all'epoca, sono stati scoperti nella zona di Al Fostat, vicino al Cairo.



Ritratto di Harun-al Rashid

martedì 1 aprile 2008

Il tappeto di Cosroe

Fonti letterarie e storiche narrano che nel palazzo di Ctesifonte, capitale dell'antica Persia sasanide, il re Cosroe I, che detenne il potere dal 531 al 579 d.C possedeva presso la sala delle udienze uno splendido e prezioso tappeto. Era un meraviglioso tappeto dalle dimensioni enormi 65 x25 metri e fu annodato per ricordare al sovrano le gioie della primavera quando le nevi e le noie dell'inverno lo assillavano a palazzo. Tessuto con fili d'oro, di seta e d'argento, decorato con pietre preziose, l'immenso tappeto noto come "Primavera di Cosroe" era del tipo giardino, dove le pietre simulavano i fiori in boccio, cristalli chiari rappresentavano l'acqua corrente e, secondo una fonte letteraria, grandi smeraldi imitavano il verde dei prati. Quando gli arabi nel 634 d.C invasero e conquistarono la Persia sasanide smembrarono il manufatto e ne portarono i pezzi a Damasco e presso le loro regge e/o abitazioni per trattenerli e venderli.
Non si sa quanto ci sia di vero in queste cronache e quanto di mitizzato, resta il fatto che tale tappeto viene considerato a tutt'oggi come il primo tappeto "giardino" persiano nonchè il precursore degli Herekè a fili d'oro.

Un libro interessante, che narra le vicende di quel periodo è "La primavera di Cosroe. Venti secoli di civiltà iranica" di Citati Pietro