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giovedì 31 luglio 2008

Stop estivo



Siamo arrivati alla fine del mese di luglio, e dopo 6 mesi di attività tappetorientale si ferma per delle meritate vacanze. Non che il sottoscritto vada da nessuna parte, ma è ormai d'obbligo rallentare gli appuntamenti e gli impegni, per rilassarsi un attimino, in vista di un mese -quello di settembre- che sarà campale e che rivoluzionerà anche in parte questo blog che a quanto pare è diventato una ricercatissima risorsa. Che questo blog sia stato un successo non lo dico io, ma lo dicono le statistiche: in pochi mesi è balzato da page rank 0 a page rank 3, con oltre 15mila pagine consultate, ed un numero di visite che in data attuale sfiora la quota di 6600!!
Una media tra i 60 e i 90 visitatori quotidiani, molti anche provenienti dall'estero, e con una durata media per ogni visita di 7 minuti. Tappetorientale non può che ringraziare, si fermerà solo per circa tre settimane, tempo durante il quale verranno riordinate le idee e organizzata la reimpostazione del blog.
Per qualunque esigenza, necessità o consulenza, potete comunque scrivere al mio indirizzo email.
Oppure potete trovarmi -seppur limitatamente- nel portale "infotappeti" dove proseguono i lavori e dove svolgo la funzione di amministratore.
Buone vacanze a tutti. Ci vediamo lunedì 18 agosto!

Alberto D.

P.S. Un ringraziamento sentito a Gianluca Pistore che dal suo visitatissimo blog ha contribuito a lanciare questo blog, idem per Leopoldo Rhodio e Roberto Mime.
Si ringraziano anche tutti gli altri amici blogger che hanno inserito tappetorientale nel loro spazio scambio link. Infine un saluto a Luciano Ghersi. tessitore poliedrico e all'amico Barry O'Connell editore del mitico "Spongobongo". Si ringraziano infine tutti lettori, specialmente quelli assidui.

Il verso del tappeto

Mentre l'artigiano annoda, esegue una trazione sul filo, trazione che è quasi sempre rivolta verso il basso perché egli tende a comprimere il nodo sulla parte di tappeto già terminata; questa tensione, da altri indicata come «giro di mano», permette che i nodi si presentino con il pelo girato in un determiminato senso che dà al tappeto terminato un suo «verso», esattamente come avviene per il velluto, che ha verso e controverso, o per il pelo degli animali, che cresce anch'esso secondo un senso per cui si ha «pelo e contropelo». Il tappeto osservato secondo il «verso» dell'annodatura presenta una certa colorazione e una determinata profondità di luce, se osservato «controverso» può cambiare completamente mutando colore e vivacità, il che è molto importante tener presente quando si tratta di disporlo in un ambiente o in una certa situazione d'arredamento. Se vorrete quindi, che entrando in una determinata stanza, il tappeto da quel punto di vista si presenti più chiaro, dovrete disporlo nel senso del pelo, diversamente non avrete altro da fare che girarlo. Riconoscere il verso di un tappeto è facilissimo, lo si fa accarezzando il vello nei due sensi verticali del tappeto, il senso dove il vello oppone resistenza è quello del contropelo.

mercoledì 30 luglio 2008

L'anima del tappeto

Secondo un vecchio detto orientale, se costruisci qualcosa con tutta l'anima e con tutto il cuore, questa finirà con l'avere anche uno spirito. La contemplazione di un bel tappeto, suscita non a caso l'ammirazione, commossa di chi lo guarda e -nel caso di collezionisti e studiosi- riesce a toccare corde attraverso un processo di comunicazione non verbale empirico e scarsamente spiegabile in maniera razionale. Il tappeto è quindi un catalizzatore, un oggetto totemico che manifesta e racchiude tutte quelle sensazioni attraverso le quali esso stesso è stato tessuto e per le quali è stato confezionato. Una sorta di comunicazione spirituale guida l'acquirente verso un determinato tappeto piuttosto che un altro, è l'istinto. è un colpo di fulmine, alcuni direbbero che è mesmerismo latente (ossia energie positive che imbrigliate nelle trame del tessuto operano un processo di attrazione "animale"). Qualunque cosa essa sia, esiste un rapporto diretto tra il tappeto e il suo compratore, una sorta di destino, che lega la persona a quel tessuto, non a caso un altro detto noto è quello che, ogni tappeto abbia la sua casa ad attenderlo. L'anima del tappeto è qualcosa che c'è ma che non è dimostrabile scientificamente, è qualcosa che caratterizza ogni singolo tappeto e che ha contraddistinto nei secoli milioni di pezzi, da queli più aulici a quelli più spartani. Quelli di oggi possono essere tappeti onesti economicamente, gradevoli esteticamente, ma vuoti spiritualmente, perchè sono "tirati giù", fatti per puro scopo commerciale e attraverso un procedimento manifatturiero che pure rimanendo manuale, opera secondo criteri standaristici e semi-industriali, conferendo così al prodotto finito il valore di un oggetto senza carattere, senza anima, senza particolarità. Un numero nello sterminato panorama di una produzione che purtroppo è ormai impegnata a fatturare.

lunedì 28 luglio 2008

Come si contano i nodi

Per il computo si procede come segue: si misurano dieci centimetri in altezza e altrettanti in lunghezza sul retro del tappeto e si delimitano i lati con tre spilli. Con una lente (può essere sufficiente anche una a cinque ingrandimenti) si contano i nodi sulla catena ed i fili annodati sulla trama, si moltiplicano quindi fra loro le due cifre (esempio 40 x 50 = 2000) ottenendo così i nodi per decimetro quadrato. Il loro numero al metro quadrato è dato moltiplicando il prodotto per cento (nel caso ipotizzato il tappeto avrà quindi 200mila nodi per metro quadrato).

domenica 27 luglio 2008

Nodi - curiosità

Oltre ai nodi più noti « sennèh » e « ghiordès », esistono altri tipi di nodi. Caratteristico dei tappeti del Khorassan e di Kirman è quello detto appunto « kirman », che si ottiene facendo passare il filo colorato tra due fili della catena avvolgendoli entrambi e facendo poi uscire il capo oltre la coppia annodata. Si esegue anche unendo una coppia di fili dell'ordito ad uno semplice, oppure annodando con lo stesso sistema quattro fili a due a due. II « kilim karamani », che è ritenuto il più antico, dà una fattura uguale nel diritto e rovescio; una variazione è il « kilim sennèh », adottato in alcune zone della Persia, con il quale si ottengono tappeti pregiati molto sottili, destinati a ricoprire mobili nuziali; le tinte sono piuttosto sobrie, la catena è molto fine, come sottili sono i fili di lana per i nodi. Con il nome ebraico di « sumach » si indica il "nodo" caratteristico dei manufatti fabbricati nella regione di Shirwan: è ottenuto avvolgendo a maglia il filo colorato sulla catena da destra a sinistra. Lo « juftì », o « juft ilmech », adottato per accelerare il lavoro, accoppia i due sistemi « ghiordès - e « sennèh » ma « salta » un filo di ordito su quattro: il fatto che questo filo della catena rimanga libero dall'annodatura compromette però la solidità del prodotto e ne diminuisce la finezza., è più frequente nei tappeti fabbricati nel Khorassan.

sabato 26 luglio 2008

La falsa equivalenza

Si è soliti fare, trattando di tappeti, un'equivalenza del tipo: maggior numero di nodi per dmq = maggior pregevolezza del prodotto. Si è però insistito troppo su una tale formula semplicistica e riduttiva: esistono ottimi tappeti con una bassa percentuale di nodi per dmq, mentre altri con una concentrazione di nodi più alta, sono privi di qualsiasi interesse. Non va dimenticato che il tappeto essendo prima di tutto un'opera d'arte o di grande artigianato, ha altri parametri di valutazione come: rarità dei decori, impiego dei materiali, periodo di realizzazione, qualità e provenienza. La nuda e cruda conta dei nodi per giudicare un valore economico di un pezzo non solo risponde ad una ristretta e limitata mentalità di questo fenomeno artistico, (che non tiene conto di tutti quegli aspetti essenziali che il tappeto stesso rappresenta e per i quali è stato creato) ma soprattutto rende il tappeto un oggetto di speculazione penosa, svalorizzandolo ad un puro e semplice lavoro di manualità qualificato dal numero dei nodi realizzato.

venerdì 25 luglio 2008

Un paio di guide per l'estate

Le vacanze, sono come sempre, il momento più adatto per godersi finalmente un bel libro sotto l'ombrellone. Per i neofiti della materia voglio consigliare due guide compatte ma abbastanza interessanti ed esaurienti, in grado nei loro limiti di dare numerose risposte e informazioni a chi è digiuno di tappeti orientali.

Il primo è "Tappeti" della collana "Guide compact De Agostini"
curato da MEHDI ZARIF, questo libro guida è più che altro dedicato al mondo dei tappeti orientali contemporanei, più che ai pezzi rari da museo. Le schede sono suddivise per zona di produzione: Persia, Anatolia, Caucaso, Turkmenistan, India, Cina. Ognuna delle 100 località prese in esame è illustrata da uno o più tappeti descritti in tutte le loro particolarità. Le appendici trattano notizie pratiche come la cura e la manutenzione del tappeto.



Il secondo è un testo un po più vecchiotto, ma non per questo meno interessante, anzi..
Si chiama anch'esso "Tappeti", scritto da Giovanni Curatola, con prefazione di John C.Hicks e disegni di Raffaello Segattini, ed edito dalla Arnoldo Mondadori Editore.
Dopo una prefazione ed una guida agli aspetti principali riguardanti il tappeto orientale: tecnica di fabbricazione, origini, storia, simbologia, la guida porta il lettore in un viaggio senza confini, illustrando con schede suddivise per zona di produzione, i tappeti più famosi e particolari provenienti dalle collezioni museali e private di tutto il mondo.



Infine un vero e proprio libro, titolato "Il Tappeto" - Enza Milanesi edito dalla Arnoldo Mondadori, impostato in maniera semplice ma efficace, utilissimo per un primo approccio, e ricco e curato nelle immagini nonchè nella forma, a partire dalla preziosa rilegatura. Ottimo il prezzo.
Purtroppo non ho trovato immagini in rete.

A questo punto non mi resta che augurare una buona lettura a tutti.

giovedì 24 luglio 2008

Il tappeto: un amico

"Per un persiano è arte, per un turco è la bandiera, per l’arabo è la ricchezza, per il beduino è la dimora, per l’indiano è l’amico."

Con questo antico detto, si tenta di esprimere quel legame straordinario che unisce i tappeti alla vita degli individui o dei gruppi che li creano. Presso alcune popolazioni dell'iran ad esempio, il momento del fidanzamento di una coppia è ufficialmente sancito dalla costituzione di una dote formata da tappeti, poichè tali manufatti sono ritenuti il bene fondante da cui partire per la formazione di una nuova famiglia. Alcuni gruppi turcomanni della Persia interrompono l'esecuzione di un tappeto se muore un congiunto e l'esemplare lasciato incompiuto rimarrà per sempre l'immagine tangibile del triste evento. Ma prescindendo dai suoi molteplici significati tradizionalistici, filosofici o religiosi, il tappeto resta prima di tutto un elemento di arredamento, a volte l'unico nel panorama fiero dell'austerità orientale.
Le popolazioni indigene come quelle metropolitane usano i tappeti per coprire i pavimenti (raramente piastrellati), li usano come coperte, come selle, come tovaglie, come ornamento da appendere alle pareti. E' solo viaggiando e conoscendo personalmente questi popoli e queste loro realtà che è possibile comprendere e carpire l'essenza di questo fenomeno di identificazione di massa che fa del tappeto il loro simbolo nazionale. E' grazie a questo straordinario potere che il tappeto orientale trovò il suo posto anche presso le dimore occidentali, e persino nei dipinti rinascimentali. In questo mondo arido e vuoto di valori, che ci lascia spesso storditi e disorientati, gli arredamenti d'interni occidentali sono ormai divenuti delle fredde scelte di tendenza. Gli ambienti vuoti, freddi, asettici, sono ormai lo specchio identificativo di una società che muore di mal di vivere e che ha bandito dalle proprie dimore il calore di un tappeto annodato. Tornare ad arredare una casa con i tappeti, può significare un ritorno alle origini, un bagno di umiltà improcrastinabile, che trova nella scienza un riconoscimento inconfutabile: i colori caldi che stimolano la corteccia, la sensazione dei piedi scalzi su di un annodato che rilassa l'organismo e previene le cefalee, ecc ecc.
Lasciamo a certi laidi architetti di interni la vuotezza di una filosofia interiore che si rispecchia nel massimalismo minimalista postomoderno dell'arredamento dei giorni nostri. Una casa arredata non da noi, ma da un architetto d'interni, è spesso una casa vuota, piena di tutti i comfort: illuminazioni a clapper (tutto si accende con un battito di mani) o tapparelle elettriche, ma priva di quegli amici, di quei vecchi amici: i tappeti, senza i quali è impossibile alla fine non perdere la propria umanità.



Un esempio di casa moderna.

mercoledì 23 luglio 2008

Il successo di un blog

Creare un blog, dedicato a regalare tutti i giorni pillole di conoscenza sull'affascinante e ancor troppo sconosciuto mondo dei tappeti orientali, è stato sicuramente un successo. Con i tempi che cambiano la scommessa di adeguamento comunicazionale del settore era assolutamente improrogabile, oggi infatti l'acquirente vuole conoscere quello che compra, e internet rappresenta il metodo sicuramente più veloce ed accessibile a queste esigenze.
La facile accessibilità, la scelta di un linguaggio non troppo specifico e tecnico, la pubblicazione di articoli brevi ma interessanti, tutto questo e altro ancora hanno contribuito a rendere "Tappetorientale" un appuntamento quotidiano seguitissimo, al quale tutti i giorni si collegano più o meno 70-80 persone. Ancora più soddisfacente è la lettura dei dati statistici del "geolocation" (strumento in grado di indicare da quale paese provengono i visitatori al sito), ebbene, sono centinaia di visite da tutto il mondo.

Un grazie a tutti per la stima e la fiducia che tutti i giorni mi viene accordata con le vostre visite.


Schermata del Geolocation relativa ai primi 15 gg del mese di luglio.

martedì 22 luglio 2008

Entrare in una tenda

Non vi è dubbio che tra le tante esperienze interessanti offerte dalle possibilità di viaggio e di conoscenza della vita moderna, ben poche valgono la visita a una tipica tenda orientale. Sia questa una tenda beduina del Sahara, o una yurtha nel Turkestan Orientale, l'impressione è identica e resta indimenticabile. Perchè una tenda non ha patria, ma ha sempre lo stesso odore, lo stesso magico segreto che vi costringerà inavvertitamente ad abbassare la voce sorseggiando quel the che vi verrà ritualmente offerto. Il profondo clima di rispetto che avvertirete per voi che sarete ospite, le pareti tappezzate di tappeti come pure i pavimenti, l'arredamento ridotto all'essenziale con oggetti d'uso realizzati in Kilim che trasudano ricordi di razza: tascapane, selle, borse e che scatenano la fantasia dell'osservatore, costituiranno la testimonianza coinvolgente di un qualcosa che è ben difficile da spiegare con le parole.
In mancanza di questa esperienza che raccomando sempre, è possibile comunque visitare il museo di tappeti e arte islamica a Istanbul sito esattamente di fronte al parco ove si affaccia la chiesa-moschea di Santa Sofia, il "Turk ve Isiam eserleri Muzesi". In questo interessantissimo museo, infatti, oltre ad una ricca esposizione di antichi tappeti anatolici e reperti di arte islamica di vario genere, sono presenti delle ambientazioni molto particolareggiate sulla vita nella yurta. Riporto quì di seguito due immagini di questi interessantissimi allestimenti.


lunedì 21 luglio 2008

Bouquet di fiori sbocciano nei deserti

Sin dai tempi più antichi il tappeto, è passato rapidamente dal suo semplice valore d'uso a quello più intrinseco, ossia quello concettuale, filosofico ed artistico. Non passò molto tempo infatti che i tessitori nomadi prima, e gli ustad cittadini poi, iniziarono a dare espressione alla loro creatività, celebrando con colorati e molteplici decori l'esaltazione di una natura rigogliosa e variopinta, rappresentata spesso in proporzione inversa alle reali condizioni di vita dei luoghi da dove le stesse manifatture provenivano. Più le genti erano destinate infatti a vivere in terre aride e desertiche, tanto più era agognata e rappresentata la natura idealizzata dei loro tappeti.

Difficile elaborare per noi occidentali se non in maniera superficiale, idealizzata e figurativa, la durezza di una vita costruita attorno a un oasi o dentro le mura di una città eretta nel mezzo di deserti aridi e stepposi. Solo viaggiando e conoscendo in prima persona gli ambienti e le avversità di una vità vissuta in quelle aree è possibile comprendere almeno in parte i significati concettuali e reconditi intrisi in questi tessuti annodati. Non per nulla una vecchia credenza orientale indica in molti tappeti il dono di contenere l'anima di chi li ha tessuti, a significare quanto un tessitore metta tutto se stesso nella realizzazione di tale manufatto. Per far comprendere almeno in parte cosa tutto questo significhi, ecco una breve e concisa descrizione del fenomeno desertico.
La parola «deserto» viene dalla lingua latina e significa «disabitato, incolto». Scientificamente essa definisce aree di terre emerse nelle quali una grande scarsità di precipitazioni è congiunta ad una attiva evaporazione. Il deserto è quindi prima di tutto un fenomeno di natura climatica: le piogge sono saltuarie ed occasionali, molto scarse per lunghi periodi di tempo e, quando giungono, abbondantissime con carattere di temporale ed effetti catastrofici. Vi sono terre che sono deserte da millenni ed altre che lo sono divenute per effetto di mutamenti di clima relativamente recenti. Così ne scrive un giornalista ed etnologo italiano, Folco Quilici, che ha studiato e filmato il Sahara nel corso di ben dodici anni di viaggi: "il fenomeno del deserto è un fenomeno di lenta progressione; dove diminuiscono le piogge la vegetazione a poco a poco; dove sparisce la vegetazione le piogge finiscono per sempre, la terra si inaridisce, il vento diventa il padrone assoluto e la terra a poco a poco si polverizza in sabbia. I disegni e le pitture, i graffiti rupestri scoperti e studiati nel cuore del Sahara ci parlano di un passato remoto durante il quale questo mondo era verde, vivo, popolato di gente e di animali. Più recentemente, ai margini del Sahara, solamente al tempo dei romani vi erano terre popolate, ricche produttrici di grano e olio... qui Annibale catturava i suoi elefanti, e la flora e la fauna di tutta l'Africa erano presenti nelle zone mediterranee...". Colpevole è il sole, quindi? Un sole bruciante che si riversa senza freno ed interruzione dall'alba al tramonto, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, ed il cui calore produce trombe d'aria e miraggi. La forte insolazione diurna causa infine degli sbalzi di temperatura molto violenti che vanno da 60 - 70 gradi di calore durante il dì ai 3 gradi sottozero la notte. Per effetto del passaggio dal freddo al caldo il terreno si dilata e si contrae ed è continuamente in movimento e rottura ciò avviene producendo rumori secchi simili a spari o boati come tuoni lontani. Spesso questi suoni sono l'unica forma di vita che accompagna per giorni interi il viaggiatore delle carovane.

Citta di Kirman - foto di repertorio

domenica 20 luglio 2008

Il tamga di Gengis-Khan



Le storie dei Mongoli, ci parlano spesso di tappeti. Sappiamo da documenti e racconti, che Gengis-Khan viveva in una tenda bianca circondato da stendardi sottili e crinuti, molti dei quali riproducevano il «tamga» del capo, vale a dire quel simbolo, antesignano degli stemmi nobiliari, formato da re palline sovrapposte a triangolo che divennero uno dei disegni ricorrenti in una certa produzione di tappeti. Sappiamo che la sua tenda era tappezzata di tappeti al suolo, alle pareti, sulle cassapanche e sugli scranni, e le cronache narrano ch'egli riceveva da avversari sottomessi o da alleati doni, tra i quali i tappeti non mancavano mai. Sappiamo infine che proprio le invasioni mongole, come più tardi quelle musulmane, mentre sconvolgevano e bruciavano il mondo, seminavano fermenti e conoscenze, abitudini destinate a mutare intere civiltà. Nella Storia di Gengis-Khan, scritta nel 1252 da «Ala-ad Din» Ata-Malik Juvaini, luogotenente e governatore di Hulegu-Khan, primo sovrano mongolo di Persia e diretto discendente del Conquistatore del Mondo, leggiamo : « E quel giorno il festino ebbe luogo nella tenda che il Supremo Ministro Yolavach (Dio rafforzi le fondamenta del suo potere ) aveva innalzato con stoffe di splendida trama, e fatto simile alla verde cupola o ad un modello dell'altissima volta. I suoi disegni, per la ricchezza del ricamo e per la bellezza dei colori, erano un cielo con luci di stelle brillanti come lanterne, un giardino dai fiori disseminati a mò di perle. Il pavimento della tenda, coperto da tappeti di tutti i tipi, in tutta la gamma dei colori, sembrava un prato di ogni sorta di erbe fragranti, quali viole, fiori di Giuda e giunchiglie» (vol. II, parte Terza, Cap. II, Dl Bachman e della sua eliminazione). Anche nelle dimore e nelle residenze del «Qa'an» (come viene scritto il nome del Khan) le pareti erano coperte da ogni genere di arazzi e di tappeti multicolori, tempestati di pietre preziose, recati in dono o acquistati dai Mongoli nelle città traversate; e tappeti venivano portati dai servi al seguito del Qa'an in modo da srotolarli immediatamente nel corso delle soste di viaggio. «Il luogo era ameno. Qa 'an aveva in testa la gioia del vino e Moge Khatum, la prediletta tra le sue donne, era al suo fianco. Si compiacque di smontare da cavallo e fece stendere davanti alla tenda tappeti di Nasii (tessuti di seta e d'oro)». (voL I Cap. Cap. XXII, Delle gesta e delle imprese di Qa'an). L'uso e l'abitudine al tappeto annodato a mano era quindi diffuso tra i potenti e corrispondeva ad una tradizione antica ingentilita dall'eleganza e dalla civiltà con cui i Mongoli erano venuti a contatto.

Liberamente adattato da "i Tappeti" di M.L. Varvelli

sabato 19 luglio 2008

Un po di storia: l'ultimo Khan

Ricevo e pubblico molto volentieri questo articolo sull'ultimo Kahn che mi manda un mio amico lettore:

A proposito di “nomadi”, volevo segnalare la storia dell’ultimo grande khan tribale che la Persia abbia avuto. Si chiamava Nassr Khan Qashqa’i. Discendente diretto di Jani Khan, fondatore nel XVIII° secolo della “lega Qashqa’i”, morì esiliato negli Stati Uniti nel 1984. La sua storia è emblematica per capire come i mutati equilibri di potere hanno causato la scomparsa di un modo di vivere. Il ruolo del khan si tramandava di padre in figlio, anche se, a volte, all’interno della tribù questo modo successorio era contestato da altri membri del clan. Gli shah, a loro volta, proteggevano tutti coloro che, messi a capo del gruppo, rinunciavano ad ogni tentativo di allargare il dominio su altri ceppi nomadici, aumentando così potere e ricchezza. Nel khan, i componenti della tribù o della lega, vedevano una doppia carica: quella a loro favorevole di protettore, distributore dei pascoli, giudice nelle controversie, ma anche quella di riscossore delle tasse e reclutatore di truppe in nome dello shah. Molti khan, come quello Qashqa’i divennero ricchi e potenti, mettendo spesso in discussione il potere dello shah e del governo centrale. All’inizio del millenovecento Reza Shah, dopo aver creato un esercito forte e moderno, capì che poteva fare a meno dei khan e, negli anni trenta, dichiarò il nomadismo fuori legge. Proibì ogni tradizione, compreso abiti e tende, che avesse legame con la cultura nomade. Nassr Khan e la sua famiglia, con altri capi tribù, fu mandato in esilio per la prima volta. Ben presto l’economia dei Qashqa’i fu messa in crisi; la miseria e la povertà mise in ginocchio quella che era, con i Bakhtiari, la più importante comunità nomade persiana. Nel 1941, la Russia e l’Inghilterra costrinsero Reza Shah ad abdicare: questo permise il loro rientro in patria. Nassr Khan riuscì, in breve tempo, a riorganizzare la malandata “lega Qashqa’i”. Per farlo, concordò con i ricchi notabili della tribù un’equa distribuzione delle risorse rimaste: ogni famiglia ebbe un asino ed un numero di animali tale da permetterne la sopravvivenza. La sua popolarità, negli anni 40/50, divenne grande all’interno della lega, ma lo strappo con lo Shah era insanabile. Nel 1962, Mohammed Reza Pahlavi, aiutato dal governo americano, varò il programma terriero che da un lato favoriva l’agricoltura, ma dall’altro impediva l’ampliamento dei pascoli con la conseguente impossibilità per i Qashqa’i di accrescere le loro greggi. Inoltre, l’organizzazione delle migrazioni, divenne pertinenza dell’esercito ed un alto ufficiale affiancò quei khan, una volta alleati di Nassr Khan, che non davano sufficienti garanzie di sottomissione. Nonostante questi continui controlli, Nassr Khan e suo fratello Khosrow Khan erano visti con crescente preoccupazione dallo shah. Per questo furono nuovamente esiliati, mentre ad altri capi tribù fu interdetto l’accesso all’Iran meridionale. Khosrow Khan venne in Europa ed avviò un’attività di vendita di tappeti e Nassr Khan risedette nuovamente negli Stati Uniti. Nel 1979, dopo la rivoluzione Khomeinista, sposata in pieno dai due fratelli, rientrarono in Iran. Nassr Khan fu accolto trionfalmente ed accompagnato, con un corteo interminabile di automezzi, nei territori Qashqa’i. Dopo una prima esaltante condivisione del nuovo regime, iniziò ad avere dubbi sulla gestione del paese e sulla riorganizzazione della società civile iraniana. I suoi dubbi lo fecero diventare nuovamente un pericolo per il regime che ne decretò l’eliminazione. Riuscì, con l’aiuto di alcuni capi tribù curdi iraniani, a fuggire nuovamente in America, mentre il fratello Khosrow Khan, catturato dalle Guardie rivoluzionarie, fu giustiziato. Terminava per sempre la potenza pluricentenaria dei popoli Qashqa’i e con lei l’ultimo residuo dell’economia nomadica.

(Liberamente tratto da “Tappeti tribali” di James Opie – Vallardi)

venerdì 18 luglio 2008

L'habitat del tappeto orientale



L'habitat naturale del tappeto è sempre rappresentato da zone desertiche e steppose dove si svolge una civiltà umana di carattere pastorale e nomadico. Intendiamo per "habitat" l'insieme geografico, etnografico e sociale che non solo ne ha permesso e causato la nascita ma che resta ancor oggi l'ambiente ideale per l'uso e l'osservazione del manufatto che ci interessa. Per quali vicende economiche o politiche il tappeto sia poi divenuto anche manufatto di popoli stabili e cittadini è discorso che non ne riguarda direttamente le origini più spontanee; qualsiasi trasformazione subita dal tappeto, per quanto ricca e felice, non riuscirà mai a privarlo del suo carattere primigenio che è quello appunto della testimonianza dell'intelligenza e del gusto umano nel quadro particolare di un ambiente geografico estremamente difficile.

giovedì 17 luglio 2008

Muore il nomadismo



Oggi gli stati più progrediti cercano di eliminare il nomadismo; lo considerano una vergogna da nascondere e fanno il possibile per convincere e obbligare i popoli vaganti a fermarsi stabilmente presso i villaggi costruiti apposta o in zone dove l'agricoltura e l'allevamento hanno bisogno di uomini che vi si dedichino. Sono sforzi destinati al successo perchè i nomadi sono i primi a rendersi conto di come il loro stile di vita li tagli fuori dal progresso e dalla società. Di anno in anno interi gruppi etnici fissano la loro sede e trasformano le tende dapprima in tuguri e appena possibile, in case civili. Le grandi città del Medio Oriente sono circondate da periferie di catapecchie abitate da beduini, nomadi fino a ieri; mentre intorno ai campi di petrolio del Sahara, di fianco alle immacolate "roulottes" dei tecnici occidentali , stanno le tende nere dei Tuareg, spesso divenuti operai perforatori. E' un cambiamento in meglio o in peggio?" Se si pensa al nomade libero e fiero, dritto sul suo cavallo di fronte a spazi interminati, abituato ad affrontare la natura e a vivere a contatto di essa in semplicità di modo e di mente, il confronto stringe il cuore: oggi il nomade non fabbrica più tappeti, ed è destinato a trasformarsi in un operaio o in un disoccupato che non riesce ad adattarsi all'ambiente civile. Eppure è meglio un inserimento faticoso ma destinato al successo sicuro, che non un lento estinguersi in un mondo irriconoscibile. La storia dei popoli nomadi è stata meravigliosa e ha detto parole insostituibili nella diffusione della civiltà e del progresso. Ma oggi la strada del futuro non attraversa più i deserti sui passi lenti dei cammelli. Sono i deserti stessi a fiorire (come quelli del Neghev in Israele) o a trasformarsi in immense città petrolifere (come il Sahara in Algeria) e per questo mondo ahimè occorrono uomini nuovi. A noi non rimangono che i loro tappeti, vecchi, consunti, sempre più rare e preziose testimonianze di uno stile di vita che fu e che è destinato -a differenza delle manifatture cittadine- a scomparire per sempre.

mercoledì 16 luglio 2008

Il mondo sconfinato della tappetologia

Studiare i tappeti non significa semplicemente analizzare e conoscere la loro struttura annodata, il tappetologo è chi studia i tappeti orientali e tutto il contesto in cui vengono prodotti: la storia, la geografia, l'ambiente, il clima, la popolazione, la lingua, la cultura, l'antropologia, l'etnografia, la religione, la tradizione. Grazie a questo neologismo si è riusciti ad abbracciare ed unificare una serie di professioni e categorie: dai mercanti ai collezionisti, fino a far stringere i legami tra studiosi di differenti discipline, che insieme hanno gettato le basi per lo studio dell'arte del tappeto. Un buon tappetologo è quindi anche un viaggiatore, uno studioso dell'estetica dell'arte, un conoscitore degli usi e dei costumi locali, un ricercatore!
Da buon tappetologo, in questo -per me impegnativo- mese estivo cercherò di dedicare spazio ad alcune tematiche generali sulle fenomenologie che ruotano intorno a questa affascinante e giovane scienza. Pensieri apparentemente sparsi, ma tutti strettamente correlati con la ricerca e la conoscenza storica e filologica del diffusionismo e dell'evoluzione del tappeto annodato.

martedì 15 luglio 2008

Quando il tappeto annodato fa PIL

Non è facile immaginarlo, ma per quanto il tappeto annodato rappresenti un lavoro manuale e tradizionale, è anche vero che a tutt'oggi esso rappresenti in paesi come la Persia un'industria fondamentale oltre che caratteristica dell'identità nazionale.
Solo in Iran ad esempio, sei milioni di lavoratori risultano ufficialmente censiti come lavoratori nel comparto dei tappeti orientali, noi sappiamo che sono molti di più. Va poi considerato tutto quello che si muove prima e dopo la lavorazione del prodotto, dagli allevatori delle pecore ai fornitori dei tappeti. Finiamo con l'intendere che il tappeto interessa una così ampia fetta di popoli e di economia, da rappresentare un fenomeno rilevante anche di ordine pubblico.
Quando i tessitori di Tabriz, gli ustad di Keshan, o i nomadi del Fars non riusciranno più a ricavare il proprio fabbisogno confezionando tappeti, allora milioni di lavoratori saranno costretti dalla fame a cambiare abitudini, probabilmente anche a emigrare.
La difesa del tappeto non è pertanto solo più una questione di difesa dell'arte e della bellezza, ma anche il mantenimento di uno status quo che se dovesse cambiare (e sta già cambiando) vedrebbe certamente un Iran più intento a produrre missili piuttosto che tappeti, e questa sarebbe una sconfitta per tutti.

sabato 12 luglio 2008

Premio al blog



Nonostante la natura e le finalità professionali di questa piattaforma, Tappetorientale è anche primaditutto un blog, e per questo, può succedere che partecipi e condivida anche le iniziative della blogosfera.
Ieri Tappetorientale ha ricevuto il premio Weblog dal sito: http://vivaudinese.blogspot.com/ che evidentemente è un mio lettore assiduo. Ringrazio per il premio l'amico udin (proprietario del blog) e come da regolamento partecipo al "premio catena".
Ecco il regolamento:
1) al ricevimento del premio bisogna scrivere un post mostrando il premio e citando il nome di chi ti ha nominato e il suo link
2) scegliere minimo 7 blog (anche di più volendo) che ritieni essere brillanti nei loro temi o design,
3)esibire i loro nomi e link avvisandoli del premio ricevuto

E un premio che giro molto volentieri a tutti gli Amici che sono presenti nel mio spazio scambio link e in particolare a:
http://sogniemagia-cristy.blogspot.com/ (so che questo blog l'hanno già nominato altri, ma è un blog solare, tenero, piacevole, dove spesso vado a fare un saluto)
http://www.gianlucapistore.com/ (un giovane che fa grandi battaglie ecologiste)

I principali musei dedicati ai tappeti orientali nel mondo

Austria:

Vienna: Musée des Arts Appliqués, Stubening 5.
Vienna: Musée Ethnographique, Ringstrassentrakt, Neue Burg.
Vienna: Oesterreichisches Museum für Angewandte Kunst.

Danimarca:

Copenhagen: Castello Rosenborg.

Francia:

Lione: Musée Historique de Tissus.
Parigi: Top/Millet.
Parigi: Musée des Arts Décoratifs.
Parigi: Louvre.
Parigi: Musée Gobelin.
Parigi: Muséc Nissim de Comondo.
Versailies: Musée National du Chateau de Versailies.

Germania:

Amburgo: Hamburgisches Museum für Volkerkunde.
Berlino: Islamische Museum, Staatliche Museen zu Berlin, 102 Bodestrasse 1/3.
Berlino: Museum Für Islamische Kunst, Staatliche Museen Preussicher Kulturbesitz, Stauffenbergstrasse 41.
Colonia: Kunstgewerbemuseum.
Francoforte: Museum für Kunsthandwerk.
Hannover: Kestner-Muscum, Trammplatz 3.
Monaco: Residenzmuseum.
Monaco: Bayerisches Nationalmuseum.
Monaco: Volkerkundemuseum.

India:

Delhi: Red Fort Museum.

Inghilterra:

Cambridge: Fitzwilliam Museum, Trumpington Street.
Londra: Horniman Muscum and Library, London Road, Forest Hill.
Londra: Museum of Mankind, Burlington Gardens.
Londra: Victoria and Albert Muscum, Cromwell Road.
Londra: National Gallery.
Londra: British Museum.
Oxford: Pitt Rivers Muscum, South Parks Road.

Iran:

Teheran: Museo del Tappeto.
Teheran: Museo archeologico.

Kuwait:

Kuwait city: Museo Nazionale d'Arte Isiamica.

Olanda:

Haarlem: Musée von Stolk.

Russia:

Mosca: Museo d'arte orientale, Cremlino.
San Pietroburgo: Hermitage.
San Pietroburgo: Museo Etnografico dei popoli dell'URSS.

Stati Uniti D'America:

Boston: Boston Museum of Fine Arts.
Cambridge: William Hayes Fogg Art Museum, Harvard University.
Cleveland: Cleveland Museum of Art.
Denver: Denver Art Museum.
Filadelfia: Philadelphia Museum of Art.
Los Angeles: Los Angeles County Museum of Art.
New York: Metropolitan Museum of Art, Fifth Avenue.
Washington: Textile Museum, 2320 S. Street.
Washington: Corcoran Gallery of Art.
Washington: National Gallery.
Minneapolis: Museum of Art.
St. Louis: City Art Museum.

Svezia:

Stoccolma: Historiska Museum.

Svizzera:

Basilea: Gewerbemuseum.
Lugano-Castagnola: Villa Favorita (Collezione Thyssen Bornemisza).
Zurigo: Muraltengut.

Turchia:

Brousse: Musée D'Art Turc et Islamique.
Istambul: Vakiflar Muzesi, Ahmediy Royal Kiosk.
Istambul: Topkapi Saraiy Muzesi.
Istambul: Turk ve Isiam eserleri Muzesi.
Konya: Mevlana Museum.

venerdì 11 luglio 2008

I principali musei dedicati al tappeto in Italia

  • Firenze: Museo Nazionale del Bargello.
  • Firenze: Museo Bardini.
  • Firenze: Museo degli Argenti.
  • Milano: Museo Poldi Pezzoli.
  • Prato: Museo del Tessuto
  • S. Gimignano: Museo Civico.
  • Torino: Museo Civico
  • Varese: Museo Pogliaghi.
  • Venezia: Museo Correr.
  • Venezia: Tesoro di San Marco.

giovedì 10 luglio 2008

Asta record di tappeti da Christie's

L'asta della collezione di tappeti ed arazzi di Davide Halevim organizzata il 14 febbraio 2001 fu una vendita straordinaria. La casa d'asta Christie's fu ben lieta di annunciare nel suo comunicato stampa alcune cifre riguardante la straordinaria giornata. La vendita complessiva fu di 3.653.188 sterline dove vennero aggiudicate circa il 91% dei pezzi ed il 70% del valore. Quel giorno furono infranti svariati record, tra i tanti: quello della vendita più alta del settore in questa casa d'asta, nonchè il prezzo record assoluto per un tappeto Pechino e per un tappeto Caucasico all'asta, un "Kazak a stelle "dal sud del Caucaso, datato 1884-5. Il prezzo di stima era £130,000-150,000, il pezzo più prezioso dell'asta e venne aggiudicato dopo una intensa battaglia al rialzo a £196,250. Un altro prezioso pezzo all'asta era un tappeto Mamelucco del secolo XV proveniente dal Basso Egitto, stimato a £200,000-300,000 e ceduto a £168,750

Tratto da www.tappeti.it

mercoledì 9 luglio 2008

Tappeti Lotto - approfondimenti

Pare che gli articoli sui "Tappeti Lotto" abbiano riscosso un particolare successo, mi è stato infatti chiesto di approfondire ulteriormente l'argomento.

I Tappeti Lotto è ormai opinione diffusa che siano stati prodotti nell’area di Ushak o Konia in un periodo compreso tra il XV e il XVII secolo, tuttavia Charles Grant Ellis ha cercato di classificare in tre gruppi stilistici i "Tappeti Lotto":
  1. Anatolici
  2. Kelim
  3. Ornamentali

esprimendo la supposizione che solo gli esemplari "Anatolici" siano stati fabbricati in Anatolia, e precisamente nella regione di Konia, di Ushak o simili. mentre negli altri due gruppi egli ritiene trattarsi di copie dell'Europa sud orientale. Indipendentemente dalla reale origine dei "Lotto" che in certi termini rimarrà sempre argomento di dibattito, è molto interessante invece osservare l'aspetto decorativo di questo genere tappetologico. I "Tappeti Lotto" infatti sembrano essere stati la risposta dei produttori di tappeti di quei tempi all'utilizzazione nelle chiese cristiane di velluti e broccati, una moda che possiamo osservare ovunque in Europa dal XV fino al XVII secolo. A confermare quest'ipotesi vi sono proprio i numerosi dipinti Lotto e Holbein dove questa tipologia viene ritratta ai troni delle Madonne o comunque come paramento alle funzioni liturgiche nei dipinti rappresentate. Il disegno giallo o blu su fondo rosso consiste in ornamentazioni otagonali a forma di croce, che insieme danno luogo a complesse forme arabescate, circondate in origine da una stretta bordura. Gli esemplari più antichi portano nei centri delle croci fogliate altre croci stellate, in un primo tempo a medaglione , poi a rombo, per infine scomparire. Dalla fine del XVIII sec. il disegno Lotto si sviluppa in forme più rigide, le bordure diventano più larghe, acquisendo in parte anche ornamentazioni floreali, che pregiudicano fortemente l'effetto armonico di questi tappeti.

martedì 8 luglio 2008

I tappeti di Lorenzo Lotto

Con il termine "tappeto Lotto" si indica nel gergo tappetologico una precisa tipologia. Questo nome deriva dalla testimonianza pittorica proprio dell'omonimo pittore Lorenzo Lotto, che in più opere ha ritratto questa precisa tipologia di tappeto. Di fronte alla mancanza propria di tessili, in quanto i tappeti di quell’epoca sono rari anche solo per una pura questione della fisica e della termodinamica (i tappeti non sono durevoli) e visto e considerato che le fotografie non erano ancora state inventate, ecco che le opere di Lorenzo Lotto sono risultate (come pure quelle di tanti altri artisti noti e meno noti) molto importanti, per avanzare ipotesi sull'evoluzione iconografica e sulla diiffusione dei vari esemplari. Inoltre -come già detto nell'articolo precedente- un tappeto dipinto, riconoscibile e confrontabile con frammenti o esemplari completi esistenti, giunti fino a noi, consente di stabilire un elemento importante per procedere con la datazione dell'esemplare. Lorenzo Lotto (1480-1556) dipinse nei suoi quadri un gran numero di questi tappeti dai disegni angolosi, tanto che essi presero ben presto il nome dal pittore, perdendo così il nome d'origine. Quì di seguito pubblico alcuni suoi famosi capolavori.








lunedì 7 luglio 2008

Tappeti dipinti

Il primo studioso che aveva avvertito l’importanza dei dipinti come una fonte documentaria per la conoscenza dei tappeti orientali fu il francese N.Y.Willemin, che trattò quest’argomento in un’opera pubblicata nel 1839. Quarant'anni dopo fu la volta del tedesco Julius Lessing che dedicò una monografia sul tema. Agli inizi del nostro secolo, Wilhelm von Bode, direttore del Berlin Kaiser Friedrich Museum prese ad affrontare approfonditamente lo studio delle tipologie dei tappeti attraverso le fonti pittoriche , in particolare quelle italiane e olandesi. L’eredità di Bode fu raccolta negli anni cinquanta da Brigitte Scheunemann, alla quale si deve il primo elenco di dipinti con tappeti. Fra gli ultimi contributi: l'indagine di Onno Ydema sui tappeti nella pittura olandese dal Cinquecento al Settecento. Per uno studioso di tappeti, ogni quadro o affresco che li raffiguri deve essere considerato con attenzione: il dipinto (quando è antico) ha il valore di un documento storico, in quanto in esso vi è rappresentata la denuncia della conoscenza, da parte di un singolo artista e nell’ambito della cultura in cui egli opera, della tipologia del tappeto rappresentato, consentendo quindi di avanzare qualche ipotesi sulla diffusione dell’esemplare tessile. Inoltre un tappeto dipinto, riconoscibile e confrontabile con frammenti o esemplari completi esistenti, giunti fino a noi, consente di stabilire un elemento importante per procedere con la datazione dell'esemplare. Tappeti e dipinti dunque per quanto oggi vengano identificati come distinte e distanti manifestazioni artistiche provenienti da esperienze culturali lontane e differenti l'una dall'altra, restano invece indissolubilmente legati, atrraverso un rapporto che rimane, storico artistico ma anche scientifico.

sabato 5 luglio 2008

John Eskenazi

Un nome importante nel mondo della Tappetologia è quello di John Eskenazi: grande conoscitore dell’arte orientale, specialista in tappeti e tessuti, nonchè gallerista ed editore.

Il nome Eskenazi viene infatti associato all'arte orientale da oltre 80 anni, e cioè sin dall'apertura nel 1925 di una galleria a Milano dedicata principalmente ai tappeti e ai tessuti antichi.
Dopo aver studiato storia dell'arte John Eskenazi successe nell'attività commerciale del padre nel 1977 e nel 1994 inaugurò la sua nuova e principale galleria a Londra, spostando nel contempo la sede della storica galleria di Milano da via Montenapoleone a via Borgonuovo.
La galleria di Londra è da allora specializzata in tappeti importanti, nonché oggetti artistici e sculture, mentre la galleria di Milano rimane la base per il mercato di tappeti e tessuti.
Espositore di spicco in ambito internazionale, John Eskenazi continua ad espandere la sua esperienza riconosciuta a livello internazionale attraverso i suoi viaggi di studio e di ricerca.
Numerose sono le mostre che John Eskenazi ha istituito a Milano nel corso degli anni, qualificate a fornire un panorama delle Arti Asiatiche ed in particolare di quelle tessili, per poi concentrarsi negli ultimi due anni sull'esibizione di tappeti e tessuti tra i quali i «Kazakh» nel dicembre del '94 ed i «Ningxia» nel novembre '95. Nel giugno del '95 John Eskenazi ha esordito a Londra con la prestigiosa mostra di inaugurazione «Images of Faith» nella quale si potevano ammirare più di sessanta opere d'arte.Quest'ultima fu seguita nel Gennaio del '96 da «I tappeti turchi nei dipinti degli antichi maestri», presentata in un secondo tempo presso la galleria di Milano, dal 23 ottobre fino al 30 novembre dello stesso anno. John Eskenazi e sua moglie, Fausta, sono disponibili per consulenza, solo su appuntamento.

venerdì 4 luglio 2008

La bandiera del Turkmensitan



A dimostrazione di quanta concettualità sia insita nei tappeti orientali e quanto questi spesso rappresentino arte e identità nazionale presso i paesi al di là dell'Europa, è interessante osservare l'insolita bandiera del Turkmenistan che dopo varie vicissitudini (7 bandiere dal 1927) si è consolidata nelle ultime 3 trasformazioni attraverso i simboli rappresentanti le 5 maggiori tribù di questa repubblica. L'ultima bandiera del Turkmenistan è stata adottata infatti il 24 gennaio 2001 e presenta un campo verde (colore sacro all'Islam) con una banda verticale rossa (colore nazionale del Turkmenistan) vicino al lato del pennone, che contiene i cinque "gul" utilizzati nella produzione dei tappeti, tutti impilati sopra due rami d'ulivo incrociati, simili a quelli presenti sulla bandiera delle Nazioni Unite ed in effetti aggiunti già nella versione del '97 per celebrare l'ammissione all'ONU avvenuta verso la fine del 1996 oltre che per significare la dichiarata neutralità e l'aspirazione alla pace del paese. Una mezzaluna bianca crescente che simboleggia la speranza di un radioso futuro per il Paese, e 5 stelle a rappresentare le cinque province (Welayatlar) dello stato: Turkmenistan-Ahal, Balkan, Dashhowuz, Lebap e Mary.
I cinque motivi disposti lungo l'asta -come già detto- designano le cinque maggiori tribù o case e sono presenti anche nello stemma nazionale e sono i "gul" riprodotti nei famosi tappeti che genericamente vengono attribuiti a Bukhara (storico centro di raccolta).
I "gul" a rappresentare le cinque maggiori tribù del Turkmenistan sono, dall'alto verso il basso: Teke (Tekke), Yomut (Yomud), Arsary (Ersary), Chowdur (Choudur) e Saryk (Saryq). I Salyr (Salor), tribù che fu decimata in seguito ad una sconfitta militare nell'epoca moderna, non sono presenti, così come molteplici piccole tribù o sottotribù. Il significato dei "gul" è controverso, se infatti da un lato sappiamo con certezza che rappresentino ognuno nelle varie differenti caratterizzazioni riscontrabili, le singole tribù dell'altipiano, dall'altra è ancora incerto cosa essi siano nella sostanza: stemma? Recinto? Totem? Fiore? La giovane scienza della tappetologia è ancora alla ricerca di una risposta, uno o più articoli verranno in futuro stesi per parlare esclusivamente di questo affascinante aspetto.

mercoledì 2 luglio 2008

Tappeti di guerra pakistani

Una produzione quantomeno curiosa anche se non rispondente alla realtà (in quanto non propriamente Afghana), è quella dei cosidetti "Tappeti di guerra afghani". Durante il periodo dell'occupazione sovietica (1979-1989) infatti, la quotidiana frequentazione di materiale bellico aveva portato all'inclusione nel disegno della trama e dell'ordito, accanto ai motivi geometrici tradizionali, di fedeli riproduzioni di armi e munizioni. Tali inserimenti avevano sia funzione descrittiva come soggetti principali, con una particolare attenzione alla veridicità nei particolari della riproduzione (kalashnikov, rpg, elicotteri, aerei), sia funzione di decoro sul perimetro del tappeto (proiettili, bombe, granate). La produzione di tappeti a tema "bellico" non si è da allora più fermata, ma piuttosto ha attraversato il vicino confine con il Pakistan dove ha installato produzioni che costituiscono oggi una precisa tipologia commerciale: gli "Afghan War Rugs".
Questi "tappeti di guerra" contemporanei mantengono la loro predilezione per la minuziosa opera di riconoscibilità delle armi, sempre unita alla cartografia dell'afghanistan e ad un'approssimativa e vernacolare scrittura. Un'ulteriore tendenza che potremmo definire quasi "cronachistica" si è recentemente aggiunta a celebrare le più importanti operazioni militari compiute sul suolo afghano. Esistono così tappeti che ricordano i bombardamenti di Tora Bora alla ricerca infruttuosa di Bin Laden e sintetiche, ricostruzioni storiche che vanno dall'attentato alle Torri gemelle al decollo degli aerei americani dalle portaerei diretti verso l'Afghanistan. Non sfugge come queste ultime realizzazioni vadano oculatamente a rispondere a una richiesta del "mercato" costituito dalla moltitudine di stranieri, militari e civili, presenti a vario titolo sul territorio del paese asiatico e di cui ne è una riprova una loro ampia diffusione. Con cifre quantomai modeste infatti è possibile acquistarne su e-Bay di qualunque dimensione e fattura, l'unica cosa che bisogna sapere è che afghani questi tappeti non lo sono affatto.

martedì 1 luglio 2008

Forse non tutti sanno che...

Per i mondiali di calcio Germania 2006 di due anni fa i produttori di tappeti iraniani sostennero la squadra persiana con i loro tappeti, esponendo nelle vetrine dei negozi anche qualche raro e personalizzato esemplare confezionato appositamente per l'avvenimento. Un arazzo venne realizzato in occasione della Coppa del Mondo FIFA 2006 e misurava cinquanta centimetri e rappresentava il logo della Federcalcio di Teheran, abbinato a quello del consorzio dei produttori di tappeti. Il prezioso oggetto venne affidato alla squadra nazionale iraniana per essere esposto nella sede del ritiro della squadra. Inoltre le camere d'albergo che ospitarono i giocatori dell'Iran furono abbellite con tappeti originali persiani.