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venerdì 30 gennaio 2009

I kahn figure frequenti nella storia dei tappeti

La storia del tappeto ha accompagnato il cammino dell'uomo sin dal neolitico, e studiare o anche solo approfondire il tappeto significa pertanto, anche studiare le genti, le popolazioni e la loro storia. Il termine "Khan" è una parola molto frequente nella storia dell'uomo e del tappeto e per chi la riconduce strettamente ed unicamente al mongolo Gengis khan, ritrovarla tutt'ora in uso in Persia o riscontrarla nella cronistoria di altri popoli e di altre regioni come Turchia e Bulgaria può effettivamente creare un qualche disorientamento.

Troviamo ad esempio nell'Enziklopadie des Orientteppichs che nell' 1813 il "khan bulgaro Krum" nelle sue scorribande in oriente aveva fatto bottino di tappeti in lana armeni.
L'inglese A. C. Edwards, nel volume "The Legacy of persia", scrive invece che: Rukh, figlio di Timur "Khan" protesse l'artigianato del tappeto persiano promuovendone la produzione ed innalzandolo ad arte tra le più nobili. Sappiamo che la tenda di Gengis Khan era tappezzata di tappeti al suolo, alle pareti, sulle cassapanche e sugli scranni, e le cronache narrano ch'egli riceveva da avversari sottomessi o da alleati doni, tra i quali i tappeti non mancavano mai.
Khan sono anche i capi tribù di popolazioni confederate come quelle di Qashqa’i e l'ultimo grande di questi è stato Nassr Khan Qashqa’i. Si potrebbero elencare citazioni di Khan e tappeti all'infinito, ma non è la mera citazione lo scopo di questo articolo, quanto piuttosto spiegare il perchè questo termine abbia aderito nel tempo e nello spazio a tantissime realtà che oggi potrebbero apparirci differenti le une dalle altre ma che hanno sostanzialmente un'unica matrice: quella dell'Asia Centrale e dei mongoli, che discesi dagli altipiani asiatici hanno poi occupato regioni vastissime creando un eterogeneo impero che nella condivisione delle culture le une influenzate dalle altre ha trovato la sua forza e la sua persistenza storica nella memoria collettiva dei popoli che lo hanno vissuto.

Definizione del termine Khan:

Khan: titolo nobiliare di origine centrasiatico/altaica. Si trova anche scritto come Q'uan, Xan, Han, Ke Han. Originariamente significante: comandante, o capo tribù; titolo attualmente riscontrabile in Asia Centro-Meridionale. Usato dai capitribù turco-mongoli delle steppe, si sviluppò attraverso le conquiste di Gengis Khan e la creazione dell'Impero Mongolo. Il vero titolo di Gengis era in realtà: Khagan, "Khan dei Khan", o Gran Khan. Il titolo fu ereditato dai suoi successori fino a Kublai Khan. L'impero diviso in regni aveva per ogni regno un sovrano titolato "Khan". Anche in Italia, il grande signore e condottiero Cangrande della Scala derivava da un khan turco giunto nella penisola insieme ai longobardi.

mercoledì 28 gennaio 2009

Origini dell'iconografia archetipa: dalla preistoria alle civiltà mesopotamiche

La nascita del telaio e presumibilmente anche quella dei primi tessuti piani, avvenne nel periodo neolitico (l'ultimo dei tre periodi che costituiscono la preistoria), quando seguitamente all'ultima grande glaciazione pleistocenica, tra la fine del VII e gli inizi del III millennio, piccoli gruppi di uomini iniziarono la lavorazione della pietra, l'arte della ceramica, la pratica dell'allevamento e dell'agricoltura. Le genti in possesso di questa straordinaria "cultura", avanzarono verso Occidente e verso Sud alla ricerca di pascoli più ubertosi per le loro mandrie, e alla conquista di terreni sconosciuti. Erano popoli nomadi che adoravano la Grande Madre, una divinità presumibilmente sorta durante una fase matriarcale, che le società di cacciatori-raccoglitori avevano condiviso lungo il periodo paleolitico. I primi tappeti furono invenzione propria di loro, che, spinti dal freddo, dall'umido e dal bisogno di ripararsi dal contatto della terra nuda iniziarono a intrecciare stuoie vegetali, erba, pelli e intestini di animali, fino alla scoperta del telaio e alla filatura della lana, scoperta che determinò una svolta ed una conquista dell’umanità, al pari della ruota e del fuoco. Le civiltà neolitiche costruivano telai molto semplici, poco più di una intelaiatura rettangolare in bastoni o pali di legno messa in posizione verticale. La tensione dei fili di ordito era ottenuta tramite pesi, in argilla o pietra, che si trovano numerosissimi negli scavi archeologici. Le più antiche raffigurazioni di tappeti piatti sono quelle di presumibili kilim a Catal Huyuk e presso i reperti di Hacilar (in Anatolia meridionale) risalenti tra il 6000 e il 5300 a.C. e recanti motivi geometrici tutt’ora in uso nei kilim anatolici. Si ritiene probabile che tappeti piatti geometrici, come quelli raffigurati negli antichi affreschi sopracitati rientrassero nei riti propiziatori religiosi o magici. Le losanghe a poligoni uncinati e scalettate, prevalentemente presenti in Anatolia, Caucaso, ed in alcune popolazioni nomadi persiane, sarebbero infatti, secondo una concezione legata al simbolismo arcaico, proprio una derivazione del culto, della Dea Madre, di cui anche e soprattutto le popolazioni anatoliche ne erano adoratrici, Anatolia infatti significa “terra della madre”. I primi tappeti piatti furono pertanto presumibilmente tappeti geometrici, con iconografie volte alla celebrazione o alla testimonianza di riti primordiali e anche sciamanici, e che solo successivamente conobbero le prime contaminazioni culturali nei disegni, con influenze ora vediche, achemenidi -zoroastriane, elleniche e poi buddiste. A partire dal 4000 a.C alcune di queste popolazioni si stanziarono tra i fiumi Tigri ed Eufrate, sviluppando le prime forme di civiltà conosciute come "mesopotamiche", mentre altre nella valle del fiume Nilo e lungo le sponde dell'Indo diedero vita a quella Egizia e a quella Indiana. Nelle grandi città stato mesopotamiche la centralità del tempio è evidente fin dagli esordi della civiltà sumerica. Si costruivano grandi Ziqqurat a gradoni in mattoni crudi in cima ai quali sorgevano il tempio del Dio protettore e dentro il quale i sacerdoti di giorno celebravanno complessi riti religiosi e di notte studiavano le stelle. La trasformazione e l'evoluzione dei culti pagani e delle loro celebrazioni diedero presumibilmente al tappeto una nuova centralità ed una nuova ricca geometricità, nonchè una struttura in lana, che a quei tempi era sicuramente già raffinatissima; a testimonianza di ciò, ci giungono nuovamente le pitture, -questa volta tombali- delle civilità dell'Elam e di Uruk, raffiguranti appunto tappeti di lana colorati, e in Sumeria giungevano prodotti proprio dall'Elam e da Uruk. Quali delle tre civiltà abbiano "portato" i tappeti alle altre non ci è dato sapere, certo è che l'uso a Elam e a Uruk non può escludere l'uso anche in Sumeria.

Immagine tratta da wikipedia

lunedì 26 gennaio 2009

Conoscere la storia per comprendere l'arte

immagine tratta da www.wikipedia.it


La complessità delle vicende storiche vissute nel vicino e nel lontano oriente, sono spesso la matrice originaria di tanti errori di cattiva interpretazione o di errata valutazione in un contesto storico, sociale e culturale che da parte occidentale risulta ancora in parte, o del tutto sconosciuto.
La conoscenza approssimativa e generica di quanto accaduto nei secoli a popoli come quelli "turchi", mongoli o caucasici, si riflette in misconoscenze, anche e soprattutto tapettologiche, in quanto l'essenza stessa dell'arte del tappeto è prima di tutto di matrice tradizionalpopolare e riflette secoli di storie e di tradizioni delle genti che consuetudinamente senza tanto clamore tessono tappeti. Conoscere dunque la storia, per comprendere l'arte del tappeto al meglio, è un' equazione imprescindibile per un aspirante tappetologo. Ho deciso di premiare gli amici neofiti che mi seguono e che mi incoraggiano con argomenti anche puramente storici e culturali che se da un lato può sembrare possano interessare il tappeto e l'arte della tessitura solo marginalmente, invece rappresentano gli elementi costitutivi ed evolutivi di quest'arte e dei suoi meravigliosi ed espressivi manufatti.

sabato 24 gennaio 2009

Ghereh - una rivista dedicata al tappeto

In ringraziamento alla visita di Taher Sabahi a questo blog, voglio dedicare una piccola parentesi alla sua rivista Ghereh, che ho già avuto modo di accennare altre volte e della quale custodisco gelosamente i primi 8 numeri.
Ghereh è l'unica rivista cartacea italiana dedicata al tappeto annodato orientale.
Nata nel 1993 e diretta da Taher Sabahi, esce ogni quattro mesi e la linea editoriale, è molto ben curata e ricca di informazioni.
Anteprime della rivista e il form per sottoscrivere l'abbonamento sono a questo indirizzo: http://www.ghereh.org/new/issues.htm

giovedì 22 gennaio 2009

Fiera eterogenea di tappeti a Rio de Janeiro

Sono poche le opportunità in Centro America e America Latina di poter assistere a mostre ed eventi sui tappeti orientali. Chi vive in quel continente, non può fare altro che navigare su internet, o visitare i rari negozi. Un paese che tradizionalmente vanta una certa attenzione ed un notevole rispetto per l'arte dei tappeti annodati è sicuramente il Brasile. Il tappeto in Brasile è ancora uno status symbol, ed un opera d'arte, le persone lo considerano un "must" ed una casa bella, per essere considerata tale deve essere necessariamente arredata con tappeti orientali.
Ne sono un esempio le opere televisivo-cinematografiche brasiliane, dove gli ambienti lussuosi vengono sempre rappresentati con tappeti a terra, di tutte le fogge e misure (un esempio per tutti può essere la famosa telenovela "Terra nostra", dove in ogni puntata si vedono almeno 4 esemplari).
Una simpatica opportunità per assistere in Brasile ad una mostra mercato eterogenea per qualità e misure è la Fiera degli antiquari di Gávea (Feira dos Antiquários da Gávea), che si svolge appunto in quel luogo ogni Domenica dalle 9 alle 17 pm. Cercando su youtube, ho trovato un video amatoriale, dedicato proprio a questa esposizione eterogenea di tappeti.

Buona visione.

domenica 18 gennaio 2009

I primi tappeti persiani erano tappeti turchi

Contrariamente a quanto si possa pensare, il passato remoto del tappeto persiano è oscuro e sostanzialmente sconosciuto quanto quello del tappeto cinese. Non esistono sostanzialmente testimonianze pittoriche occidentali (che invece riproducono in quantità esemplari anatolici), non esistono documenti (il Milione di Marco Polo parla esclusivamente di tappeti turchi), e non esistono reperti antichi se non quello del Pazyryk dalla tutt'ora controversa attribuzione. Del resto un prodotto di arte tessile destinato all'uso è ovviamente sempre stato molto più esposto alla consunzione e alla distruzione di tanti altri oggetti in pietra o metallo che sono -proprio per la loro carattertistica strutturale- invece sopravvissuti fino ai giorni nostri. La deperibilità quindi dei manufatti associati alla distanza (la Persia era senz'altro più lontana della Turchia) ha prodotto l'impossibilità a tutt'oggi di una logica ricostruzione del passato del tappeto persiano, e certamente è curioso che proprio questo avvenga per un generis che invece viene ai giorni nostri riconosciuto come il tappeto orientale per antonomasia. Le prime testimonianze di come potrebbero essere stati i tappeti persiani negli anni precedenti al 1400 e quindi precedenti alla grande rivoluzione Safavide, ci giungono dalle miniature persiane, dove in un primo periodo i tappeti locali figurano ancora geometrici per poi solo successivamente evolvere in floreali e arabeschi. Ciò non può che venire ragionevolamente spiegato dall'influenza Selgiuchide cui la Persia fu sottoposta. I Selgiuchidi erano una dinastia turca di religione musulmana sunnita che governò parte dell'Asia centrale e del Medio Oriente dal XI al XIV secolo e che impose la propria dominazione sulla Persia tra il 1060 e il 1094. I Selgiuchidi stabilirono a Konia la capitale del loro impero, e questa divenne ben presto il centro d'irradiazione del loro potere. Erano grandi estimatori dell'arte tessile annodata (che era espressamente geometrica) ed è proprio alla capitale Iconium che risalgono parti di tappeti dell'Asia Minore che sono attualmente conservate nel museo Evgaf di Istanbul, mentre altre, di tappeti caucasici, sono esposte al museo di Berlino ed al museo Nazionale di Stoccolma. I primi frammenti databili al 1100 - 1200 si trovavano nella moschea di Aladino ed in quella di Beyscheir e, secondo gli esperti, possono provenire dal Turkestan o almeno echeggiare motivi turcomanni. Questa influenza "turca" nel tappeto persiano che caratterizza anche una profonda e differente impostazione e visione religiosa dei fondamenti islamici applicata nell'arte e nel tappeto, si riflette ancora oggi con echi e riverberi che affascinano studiosi e appassionati. Da una parte l'evoluzione e la libera espressione di un'arte non più rigidamente inquadrata alle limitazioni di una stretta osservanza religiosa, e che si è tradotta nelle grandi manifatture cittadine: Tabriz, Kashan, Qum, Isphahan; dall'altra le affascinanti e primitive manifatture tribali che esprimono ancora parzialmente quell'antico rigido aniconismo ereditato dell'islamismo sunnita dei turchi selgiuchidi, manifatture semplici ma tradizionali come Gabbeh, Hamadan, Lori, Gouchan che testimoniano con i loro decori l'antica discendenza e origine del tappeto persiano.

sabato 17 gennaio 2009

La componente turca, quella curda e quella armena nei tappeti persiani

Il tappeto Persiano o meglio "iranico" (visto che la Persia non esiste più), è sicuramente il tappeto più famoso per eccellenza, almeno per quanto riguarda la sua fama e diffusione in occidente. La dinamica di questa fama e di questa diffusione è sicuramente meritata, pur dovendo ammettere che il "purismo" espresso" dalle più tradizionaliste manifatture turche, caucasiche ed asiatiche è certamente degno di ammirazione e rispetto, e pur riconoscendo che alcune tra le più meravigliose manifatture tutt'ora prodotte sono proprio Turche. Ma il gusto occidentale che ha sempre visto sin dall'antichità il tappeto annodato come un oggetto di grande valore economico ed estetico, ha di fatto premiato la spiccata flessibilità persiana nella realizzazione e nella rielaborazione delle manifatture. Alla base di questa convergenza tra Persia e occidente c'è stato sicuramente un similare approccio nei confronti del tappeto annodato: in Turchia, nel Caucaso e in Asia centrale considerato come oggetto d'uso ed espressione di tradizionalità. In Persia come in occidente considerato invece un'opera d'arte, necessaria quindi di continue evoluzioni, arricchimenti, e sperimentazioni. L'approccio culturale persiano al tappeto si è quindi prestato più favorevolmente di altre realtà alla diffusione di quest'oggetto in occidente, per un'evidente comunione di vedute. Ma sarebbe ingiusto anche in questo caso non riconoscere l'enorme apporto turco, armeno, curdo, a questo successo, perchè la realtà allora persiana, e oggi iranica, è estremamente complessa, e vanta un ampio ventaglio di popolazioni non persiane che hanno fatto parte, e che fanno parte tutt'ora, con le loro produzioni artistiche dell'insieme culturale di questa grande area quale la Persia. E' prima di tutto infatti kurdo un tappeto di Bigiar, è di origini armene un Lilian come turche un Serabend, è turcomanno un Turkeman, è creato da popolazioni originarie azere un Ardebil!!! Che la superiorità del tappeto Persiano sia stata determinata dal concorso di tante culture, e di tante idee è la mia certezza. La forza del tappeto persiano è il microcosmo delle tante realtà che egli stesso ha saputo modellare e rappresentare. Il successo del tappeto persiano è anche il successo dei turchi, dei curdi, degli azeri, dei turcomanni, degli armeni, degli ebrei che in Persia hanno abitato e tutt'ora abitano, conccorrendo allora come oggi, a quell'humus particolarissimo e a quella sintesi originalissima di vita e di cultura che insieme hanno saputo esprimere all'interno del paese che allora si chiamava Persia.

giovedì 15 gennaio 2009

Il ruolo italiano nella storia della diffusione del tappeto orientale


La conoscenza e la diffusione del tappeto orientale in Europa nell'alto medio evo è senz'altro dovuta all'insostituibile ruolo che mercanti ed artisti italici (in specialmodo veneziani) hanno avuto a partire dall'anno 1000. Era infatti veneto Marco Polo, erano veneti i mercanti che trattarono a Londra i famosi 100 tappeti orientali che richiese tanto insistentemente il Cardinal Wolsey; ed è a Venezia che Shà Abbas il Grande, nel 1600 inviò in dono tramite i suoi ambasciatori tappeti tessuti in seta, oro e argento tutt'ora conservati nel museo di San Marco.
Il dominio delle repubbliche marinare a quei tempi era infatti pressochè assoluto, genovesi, pisani, veneziani e amalfitani erano riusciti infatti a spezzare il monopolio arabo e bizantino sul traffico marittimo, portando da oriente ai porti italiani i primi commerci, tra i quali quelli dei tappeti orientali. Lasciando poi tracce ovunque, nei dipinti e nelle corti di mezza Europa, dalle parti di Piero della Francesca, successivamente a Milano e poi nel nord Europa. Fu buon gusto o furbizia ed amore per il denaro ciò che permise ai veneziani di svolgere questa funzione insostituibile? La risposta può essere differente a seconda dei casi e dei punti di vista, ma resta comunque bello pensare che il tappeto orientale debba qualcosa alle mani italiane, sia che abbiano retto un pennello o una sacca di monete.

lunedì 12 gennaio 2009

Designer minimalisti svegliatevi!!!

Sfoglio una rivista di architettura interna di nome "Case da abitare" e vedo immagini di ambienti insanamente e desolatamente vuoti, la promozione di un arredamento spersonalizzato, freddo e mimalista degli ambienti prosegue imperterrita anche quest'anno. Si persegue una filosofia mentale che alla fine ha e avrà anche dei risvolti psicologici sulle famiglie che in questi ambienti post moderni alla fine ci devono vivere e/o ci vivono. E' psicologicamente e scientificamente appurato, colori e forme condizionano l'umore delle persone, case vuote e fredde come: igloo, celle o caverne non aiutano l'essere umano a vivere una condizione migliore, anzi lo portano diritto alla depressione e all'ignavia. A pagina 146 leggo una specie di slogan che dice: "E' finito il momento del consumo usa e getta. Lo spirito del tempo dice di investire in beni sicuri e doni durevoli.." benissimo, prendo atto che il mondo dell'architettura d'interni ha iniziato un processo di riconversione riscoprendo l'acqua calda. Cosa c'è di più durevole e valevole nel tempo di un tappeto annodato? Quando capiranno questi signori che un tappeto annodato è proprio la celebrazione di quel minimalismo che tanto loro rincorrono e che però a differenza di quello che si inventano loro, riempie i cuori? I tappeti sono quanto di meno ingombrante, ma di arredativo si possa avere in una casa, danno calore e colore e sono praticamente bidimensionali. Infine sono prodotti con fibre naturali e questo li rende in quest'epoca di consumo ecosostenibile anche politicamente corretti, quindi anche da questo punto di vista dovrebbero essere soddisfatti. Ma poichè sembra che di questi pregi i signori architetti e designer pare non se ne accorgano, inizio a chiedermi se questa sia davvero solo miopia, egocentria oppure qualcosa di peggio.

domenica 11 gennaio 2009

Il mio nuovo sito Istituzionale

Segnalo agli amici di Tappetorientale e ai coleghi che mi seguono, la messa online del mio nuovo sito istituzionale (ancora in allestimento). Ringrazio gli amici, clienti e colleghi che hanno voluto contribuire alla pagina delle testimonianze e dei riconoscimenti, pagina che come tutte le altre verrà mano a mano aggiornata e dove sarò lieto di pubblicare tutte le testimonianze o le attestazioni di merito (seguite da nome e cognome) che gli amici e colleghi mi vorranno riconoscere e far pervenire via mail o tramite il form "contattami" presente nella barra dei colegamenti del blog. L'ideazione grafica è stata curata dal sottoscritto, mentre il grosso del codice html nonchè la fase di upload sul server è stata realizzata grazie ad un amico che opera nel campo informatico amatorialmente, non vuole meriti e per tanto preferisce mantenersi anonimo.
Io lo ringrazio lo stesso: grazie Giovanni!! Almeno il nome era d'obbligo.
Di questo sito esistono sicuramene ancora molti aspetti da definire e questo costituirà per molti la scusa per visitarlo spesso. Attualmente ci sono dei problemi di visualizzazione con i sistemi Firefox e Opera, problemi che verranno risolti entro breve.

Ecco il link del sito: http://www.tappetirari.com/

giovedì 8 gennaio 2009

Tabella del numero medio di nodi per metro quadrato

Pur rimarcando che un tappeto non può esser qualificato dal sol numero dei nodi, e che per esso esistono altri parametri di valutazione come: rarità dei decori, impiego dei materiali, periodo di realizzazione, qualità e provenienza. Ho voluto realizzare e pubblicare qui seguitamente uno specchietto molto indicativo, della densità di alcune note manifatture per metro quadro.

Tappeti persiani

  • Joravan da 50 a 60mila nodi
  • tappeti kurdi da 50 a 100mila nodi
  • Hamadan da 50 a 70mila nodi
  • Mushkabad da 50 a 80mila nodi
  • Shiraz da 70 a 150mila nodi
  • Heriz da 80 a 120mila nodi
  • Feraghan da 70 a 200mila nodi
  • Khorassan da 120 a 250mila nodi
  • Serabend da 125 a 250mila nodi
  • Isfahan da 300 a 500mila nodi
  • Saruq da 200 a 300mila nodi
  • Kirman da 200 a 400mila nodi
  • Tabriz da 250 a 400mila nodi
  • Bireschend da 300 a 400mila nodi

    Tappeti Caucasici

    • Kazak da 50 a 120mila nodi
    • Derbent da 200 a 200mila nodi
    • Daghestan da 70 a 120mila nodi
    • Shirvan da 70 a 140mila nodi

    Tappeti dell'Asia Centrale

    • Afgan da 75 a 150mila nodi
    • Beshir da 75 a 150mila nodi
    • kiva da 150 a 250mila nodi
    • Turcomanni da 150 a 350mila nodi

    Tappeti Turchi

    • Melas da 80 a 100mila nodi
    • Ladik da 100 a 250mila nodi
    • Yoruk da 70 a 110mila nodi
    • Pergamo da 70 a 120mila nodi
    • Kula da 70 a 130mila nodi
    • Ghiordes d 70 a 160mila nodi

    martedì 6 gennaio 2009

    C'era un re magio che portava o ha portato a Gesù un tappeto?


    L'Epifania del Signore, è una festa cristiana che cade il 6 gennaio, cioè dodici giorni dopo il Natale, costituisce una delle massime solennità che la Chiesa celebra ed è rappresentata dalla visita dei Magi che in adorazione del bambin Gesù portano in suo onore oro, incenso e mirra.
    Sebbene la tradizione identifichi il numero dei Re magi con un numero di tre, non sappiamo con precisione quanti furono in realtà a fare visita a Gesù; dodici secondo una Cronaca orientale del 774-775, in numero maggiore (fino a 22) o talvolta minore (tre) nelle antiche raffigurazioni di alcune catacombe. La nostra tradizione cristiana ne riconobbe tre a cui corrispondevano i nomi latini di Caspar, Balthasar, Melchior. Ma è solo nel Vangelo di Matteo (2,2) che i Magi (non precisati nel numero) vengono menzionati, e descritti come guidati in Giudea da una stella (αστερα, da ἀστήρ, stella od astro), portando in dono a Gesù bambino, riconosciuto come "re dei Giudei" (Mt 2,2: βασιλευς των ιουδαιων), oro (omaggio alla sua regalità), incenso (omaggio alla sua divinità) e mirra (anticipazione della sua futura sofferenza redentrice). Tutte le altre notizie che abbiamo sui Magi ci vengono invece dai Vangeli Apocrifi e da ricostruzioni e ragionamenti postumi. Tra i vari Vangeli Apocrifi va ricordato quello dell'infanzia armeno, che menziona ben più numerosi regali dei tre comunemente riconosciuti: mirra, aloe, mussolina, porpora, pezze di lino, libri scritti e sigillati da Dio, incenso, nardo, cannella, cinnamomo, oro, argento pietre preziose e persino tappeti!!! Altre testimonianze Apocrife e leggende parlano di numerosi Re Magi che perdendo l'orientamento non raggiunsero mai il bambin Gesù, non potendo così offrirgli i loro numerosi regali.
    E' possibile pensare quindi che i Re Magi potessero anche essere più di tre e che tra di essi qualcuno portò un tappeto o vari tappeti come omaggio. Da qui la descrizione spesso rinascimentale nei dipinti di una Madonna con bambino in trono con sotto i piedi un bel tappeto annodato. Quel che è certo è che da tale evento sorsero anche alcune interessanti interpretazioni e testimonianze specialmente per quanto concerne il fuoco perpetuo di Zoroastro.
    Circa l'origine di tale culto nel "Milione" di Marco Polo troviamo il racconto della leggenda che egli raccolse in Persia, a Cala Ataperistan. Ai Magi il bambino avrebbe donato un cofanetto chiuso, ed essi, tornati nella loro terra "apersono lo bossolo, e quivi trovarono una pietra...e gittarono questa pietra in un pozzo. Gittata la pietra nel pozzo, un fuoco discese dal cielo ardendo e gittossi in quel pozzo. Quando i re viddono questa meraviglia, penteronsi di ciò ch'avevano fatto. E presono di quello foco, e portaronno in loro contrada, e puoserlo in una loro chiesa; e tuttavolta lo fanno ardere, e adorano quello fuoco come Iddio".

    Buona Epifania a tutti.

    lunedì 5 gennaio 2009

    Sherkate Fars

    Sherkate Fars è il termine abbreviato di "Sherkate Sahamie Farshe Iran"ovvero più o meno letteralmente "Compagnia nazionale del tappeto persiano". Si tratta di una società statale iraniana fondata nel 1936 da Scià Reza Pahlavi, uno dei più grandi convinti sostenitori del tappeto persiano. Da allora la Sherkate Fars svolge una capillare opera di controllo e di organizzazione, sul territorio, sostenendo numerose manifatture, promuovendo corsi, scegliendo laboratori per preparare filati di qualità, selezionando manifatture in città e in campagna a cui poi vengono fornite ottime materie prime e cartoni rigorosamente controllati.
    Spesso è facile riconoscere se un certo tappeto è un prodotto Sherkate, ma è molto più difficile stabilire invece il luogo in cui in Iran un tappeto Sherkate è stato realizzato, in quanto questo genere di realizzazioni sono spesso slegate alle tradizioni della regione dove uno stabilimento Sherkate opera . "Sherkate" in conclusione è una garanzia di qualità e di bellezza, un pilastro affidabile nel variegato mondo di tappeti, che fino agli inizi della seconda metà del XX secolo ha fornito un freno all'altrimenti sicura deriva e decadenza del tappeto persiano, ma che oggi al tempo stesso ha finito con il diventare l'ennesima spersonalizzazione ed alienazione del prodotto.

    domenica 4 gennaio 2009

    “Dalla Turchia- Una scelta di opere ottomane dalle collezioni del Castello Sforzesco”

    Quest'oggi mi sono recato insieme ad altri due amici appassionati del tappeto alla mostra “Dalla Turchia- Una scelta di opere ottomane dalle collezioni del Castello Sforzesco” a Milano presso appunto un'ala appositamente allestita del Castello Sforzesco.
    Devo dire che nonostante la loro precarietà, i 5 tappeti di cui uno a medaglione di epoca già tarda esprimevano in egual modo la loro originaria imponenza ed importanza, anche se sinceramente stringeva un po il cuore vederli così ridotti a causa del tempo e dell'incuria. L'Ushak a medaglione è il più grande, ma probabilmente anche il più precario, ed è privo di tutta una bordura, oltre a presentare alcuni interventi ricostruttivi che forse era meglio non ci fossero. Dei due Ushak a stelle, il secondo presenta due interventi restaurativi di antica datazione, e forse per questo lasciati inalterati in quanto anch'essi testimonianza del tempo che fu. In parole povere trattasi di un paio di "toppe" ricavate da presumibile altro frammento di ushak e inserite a riempimento dei buchi allora riscontrati nel manufatto. A parer mio meglio era disarticolare i frammenti inseriti e presentarli a parte dall'Ushak che meglio si sarebbe presentato con le sue parti mancanti. C'è poi un “Lotto”, anch'esso in tristi condizioni e privo delle cornici, handicap che in un certo senso però favorisce il senso di continuità e di ripetitività tipico di quelle manifatture e che quindi gli ha forse concettualemente giovato. Infine mi ha lasciato a bocca aperta la preghiera del generis "Bellini" con ben evidenti le zone di usura createsi dall'inginocchiamento del fedele. Tre “copricuscini”, tessuti in velluto broccato, e alcune pregevoli mattonelle in ceramica esposte che riportano decori tipici dell'iconografia ottomana e islamica riscontrabile anche nei tappeti completano l'espozione. Va detto, che i pezzi esposti lasciano molto spazio alla fantasia, all'ignoranza o alla competenza (a seconda dell'osservatore) di chi visita la mostra, sono rimasto infatti negativamente colpito dalla quasi assenza totale di dettagliati quanto auspicabili paragrafi descrittivi dei manufatti, sia per quanto riguarda gli aspetti meramente tecnici, che per quelli storici e artistici. Qualche riga in più di spiegazione e di descrizione non avrebbe fatto male.

    Una gita che comunque consiglio agli amici del tappeto.

    sabato 3 gennaio 2009

    I tappeti Bakhtiari

    Bakhtiari è il nome di un'antica e nobile tribù nomade di ceppo Lori che oggi sopravvive in condizioni stanziali nella regione del Chahar Mahal nell'Iran sud-centrale, presso la catena montuosa Zagros. Nonostante il loro carattere fiero ed impetuoso (anzi proprio per questo) furono costretti loro malgrado a partire dagli inizi dell'800 a un doloroso processo di sedentarizzazione, oggi propriamente compiuto e che si è tradotto nell’abbandono del nomadismo e nella fondazione di una serie di cittadine come: Shahr Kord, Chale Shotor, Shalamzar, Farah Dumbeh e Saman, da cui giungono i loro tappeti. Il fulcro della produzione tessile dei Bakhtiari è un decoro a formelle o riquadri derivato dall’antico disegno a "giardino" del periodo Safavide. Il campo è suddiviso in riquadri da una griglia che interpreta l'originale rete di canali e ruscelli. Ogni riquadro è decorato da alberi (salici e cipressi) fiori stilizzati, animali, uccelli e fontane, talvolta vengono raffigurati dei piccoli mihrab e anche dei Boteh, il tutto racchiuso da una bordura principale e sempre racchiusa da cornici minori. Il motivo a giardino è un disegno tipico, ma non l’unico, ve ne sono anche altri, meno frequenti, come quello tipico dei Farah Dumbeh.I colori sono vivaci e rustici, con predominanza di bruni, marroni e bianchi. Il nodo è generalmente turco. Ma alcuni modelli floreali molto belli e che vengono realizzati nel capoluogo curdo di Shahr, sono annodati con il nodo persiano. Trama e orditi sono sempre in cotone, questo permette la realizzazione di manufatti che spaziano da una certa grossolanità (60.000/80.000 nodi al mq) fino a tappeti di una relativa finezza (200.000/300.000 nodi al mq) conosciuti anche come "Bibibaf", “Chahal Shotur” e “Saman”. Il vello è sempre in lana e presenta svariati livelli di qualità, può presentarsi opaco, molto opaco o molto lucido, la rasatura è medio-alta o alta. I Bakhtiari realizzano anche una discreta varietà di oggetti d’uso, come selle, tascapane, e sacche portavivande. La qualità dei manufatti Bakhtiari spazia da tappeti di uso comune di livello inferiore a pregevoli esemplari da collezione. Tra i primi ci sono certamente i tappeti “Hori” (così chiamati per la grossolanità del nodo turco realizzato), tra i secondi invece vanno certamente ricordati i "Bibibaf", “Chahal Shotur” e “Saman”. I Bakhtiari vecchi e antichi sono molto ricercati e rari da reperire.

    venerdì 2 gennaio 2009

    Le imperfezioni nei tappeti

    Un luogo comune che viene spesso speso dai commercianti a giustificazione di eventuali imperfezioni riscontrate nei tappeti, è quello che l'imperfezione sia la garanzia di un lavoro realizzato manualmente. Il discorso è condivisibile quando si tratta di produzioni rurali o nomadiche, siano esse antiche o vecchie, ma è da rifiutare categoricamente quando lo si vuole attribuire a tappeti sbilenchi di città (manifatture che invece sono sempre state caratterizzate dal loro virtuosismo, e dalla loro perfezione nell'esecuzione) o a tappeti rurali o di villaggio contemporanei. L'ingenuita dell'annodatore, l'indifferenza nel passare da un bagno di lana ad un'altra, le disponibilità relative e occasionali delle tinte, gli impianti iconografici realizzati a memoria, la creatività e l'estro dell'annodatore o persino la sua l'ignoranza (dove per timore di entrare in competizione con la perfezione di Allah, si riservava di inserire di proposito un errore di continuità iconografica) erano tutti ingredienti di spontaneità che caratterizzavano i tappeti nomadici o di villaggio, di quel valore intrinseco che li rendeva al pari di un'opera d'arte, un'opera infatti è unica, e questi tappeti lo erano in tutta la loro semplicità. Oggi le esigenze di mercato hanno appiattito e perfezionato anche questo mondo, rendendo i tappeti di realtà come il Fars o l'Anatolia orientale dei semplici luoghi di produzione, ove l'annodatore lavora dentro grandi capannoni per conto di grandi imprese private o sostenute dallo stato. Va da se che anche il metodo di produzione di queste realtà un tempo rurali è profondamente cambiato; oggi l'imperfezione non solo è praticamente impossibile ma è diventata sinonimo di "difetto". I Vaghireh sono ormai progetti stampati su carta millimetrata e rappresentano non l'estro e l'individualità intellettuale dell'annodatore o quantomeno il suo tramando culturale e tradizionale ma le esigenze o le indagini di mercato. Lane ritorte meccanicamente, strumenti di precisione, un'infinità di tinte chimiche a disposzione, ed un approccio di produzione simile alla catena di montaggio permettono oggi la realizzazione di esemplari estremamente perfetti. Al di là quindi dell'opportunità di questa trasformazione del tappeto (che io non condivido ma che non voglio argomentare in questo articolo), diventa praticamente impossibile spacciare un tappeto storto o imperfetto annodato oggi per un tappeto di qualità; perchè oggi gli strumenti e la mentalità sono talmente cambiati che ogni minimo scostamento dagli standard di produzione rende il tappeto inperfetto un esemplare difettoso o quantomeno di seconda o terza scelta, con buona pace delle erudite spiegazioni esercitate dagli abili commercianti. Perchè quello che è un metro di misura valido per i tappeti annodati vecchi o antichi, non può certo invece andar bene per i tappeti che sono stati annodati oggi, ormai realizzati (salvo rari casi) nell'unico intento e scopo di arredare una casa (quella moderna) sempre più spoglia e desolante.