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lunedì 30 novembre 2009

"The Poot" il trailer

Dal 22 novembre è stato caricato su youtube il trailer del documentario sui tappeti persiani "The Poot" di Elham Asadi uscito quest'anno.
Non è certamente il primo film tematico proveniente da una realtà (quella persiana) che in effetti è un po in affanno e che attraverso questo genere di promozioni insegue un difficile rilancio nel contesto temporale in cui viviamo. Minacciati infatti dalla produzione imitativa di Cina, India e Pakistan i tappeti persiani sono al tempo stesso costretti a confrontarsi con un momento di crisi economica mondiale eccezionale. Il programma di sviluppo nucleare iraniano e il pugno di ferro contro l'opposizione interna sono poi carte che non giocano a favore del paese ne tantomeno all'esportazione dei propri prodotti tra i quali i tappeti che vengono identificati con il regime.
Il film documentario iraniano the Poot rivela come in alcuni luoghi della Persia, i tappeti siano ancora una vera realtà artigianale. E' un film muto, che lascia spazio alla deduttività senza una spiegazione o un commento. In questo modo, il documentario offre un omaggio a una tradizione secolare, che sta lentamente ma inesorabilmente perdendo di importanza.

Buona visione.

domenica 29 novembre 2009

La bugia dei colori vegetali

Dichiarare l'origine vegetale dei colori nei tappeti contemporanei o relativamente giovani è purtroppo un mezzo tutt'ora in uso da parte di ditte e commercianti per cercare di conferire al tappeto che si sta vendendo una maggiore pregevolezza, ed artigianalità del prodotto che in un tappeto moderno (eccetto che per produzioni sostenute dai governi locali e/o produzione di elite) è scontatamente impossibile. Già verso la fine dell'800 infatti i coloranti sintetici entrarono in uso nella grandi manifatture cittadine persiane, turche e caucasiche, sostituendo l'uso di colorazioni naturali e consentendo la realizzazione di esemplari con una ben più ampia e gradita tabella cromatica. Il processo naturalmente interessò anche le produzioni delle realtà rurali, montane e nomadiche, che realizzavano per uso interno, ma solo successivamente, e cioè quando un progresso ed una civilizzazione compiuta entrarono inevitabilmente in contatto con tali realtà. Seguendo una linea temporale indicativa gli ultimi tappeti artigianali realizzati con lane tinte vegetalmente vennero annodati ancora in alcune realtà attorno agli anni '50, successivamente tutte le produzioni (anche i Bakhtiari, e le popolazioni curde e del caucaso) sostituirono via via i colori naturali con quelli sintetici. Per eccezione di progetti attualissimi e relativamente contemporanei di recupero della tradizione e dello standard qualitativo dei tappeti, promossi direttamente dai governi turchi e persiani, come per i GABBEH o il progetto DOBAG, tutti i tappeti prodotti negli ultimi 60 anni sono ormai pertanto da ritenersi esclusi dal processo di colorazione vegetale delle lane.
Di primo acchito si è indotti a esprimere un giudizio negativo sulle tinte sintetiche, eppure anch'esse hanno dato e proseguono a dare il loro contributo importante nella realizzazione dei tappeti annodati. Senza di esse, molte produzioni sarebbero ormai certamente scomparse o avrebbero raggiunto prezzi così vertigginosi da non favorirne un commercio florido, ma solo di elite.
E' ragionevole pertanto in questo contesto guardare di più al risultato estetico finale del tappeto e meno alle elucubrazioni dei venditori (televisivi e non) che spesso risultano, un po troppo creativi nelle loro affermazioni.
Continua...

sabato 28 novembre 2009

Il mistero della bandiera del Turkmenistan

Da un paio di giorni a questa parte, il tracciatore pubblico di visite in entrata e in uscita del blog registra un curioso e misterioso via vai di persone che da tutta Italia (e non solo) sono entrate nel blog dal motore di ricerca google digitando i seguenti TAG: bandiera, tappeto.
La ricera dei seguenti termini, o altri termini similari ha ovviamente portato tutti a un mio ex articolo che trattava la bandiera del Turkmenistan, articolo che negli ultimi due giorni ha ormai totalizzato uno straordinario record di visite. Francamente non mi spiego il motivo di una così contemporanea ricerca da parte di migliaia di navigatori (tra ieri e oggi si arriverà a totalizzare 3000 visite in due gg), e immagino una qualche motivazione che va al di là della semplice casualità. Forse è avvenuto qualche evento o notizia recente con i tappeti e le bandiere inerente? Se qualcuno dei miei visitatori/lettori avesse una spiegazione di questo fenomeno, sono gradite delle delucidazioni attraverso la funzione commenti di questo post.

Grazie.

Allego link Feedjit per riscontro:

Aggiornamento:

venerdì 27 novembre 2009

Apre la mostra "Nodi" a Parma

Domani a Parma aprirà i battenti -grazie all'entusiastico ed appassionato contributo del caro amico Arch. Andrea Pacciani- la mostra "NODI" organizzata per presentare le opere della giovane artista iraniana Fariba Ferdosi e la collezione di antichi frammenti di aulici tappeti dal Caucaso e di gabbeh nomadici persiani del collega Alberto Boralevi.

Due mondi, quello dell'arte contemporanea e quello dell'antico tappeto orientale, solo apparentemente molto lontani tra loro ma sostanzialmente legati da un filo culturale che si dipana nei tempi. Questa mostra vuole esserne una piccola ma significativa testimonianza, dopo il sucesso già compiuto a Firenze della medesima mostra. Alla kermesse ci sarà anche l'amico e collega Leopoldo Rhodio.


giovedì 26 novembre 2009

I Gazni Kazak non sono Caucasici e neppure Uzbeki


Per una ragione a me ignota i tappeti Kazak Gazni (anche chiamati Ozbek Gazni) anziche essere venduti come tappeti pakistani vengono spesso attribuiti a manifattura Uzbeka. Ovviamente con i tappeti uzbeki i Kazak Gazni non hanno nulla a che fare, così come non centrano nulla con i Kazak (robusti tappeti del Caucaso). Il nome composto di questa fattura pakistana è ispirato ai Kazak Caucasici (dai quali prende in maniera generica ed idealizzata gli impianti iconografici), e alla città afghana di Gazni, dalla quale probabilmente giungono alcuni maestri annodatori che sin dall'occupazione sovietica si rifugiarono in Pakistan e dove insegnarono ai pakistani i rudimenti dell'annodatura afghana. E' facile comprendere che sulla base di questo nome composto e ambiguo, il tappeto Kazak Gazni viene così facilmente scambiato dagli acquirenti inesperti per un tappeto non pakistano e per questo acquistato a prezzi decisamente elevati per lo standard qualitativo e storico della manifattura che il tappeto rappresenta. L'idea che mi sono fatto è che la gente non avendo sentito parlare spesso del tappeto Uzbeko, tenda ad attribuire ad un tappeto uzbeko una maggiore pregevolezza e rarità, da quì l'uso comune per molti commercianti di attribuirlo all'Uzbekistan e non al Pakistan, realtà quest'ultima che invece viene ragionevolmente percepita dall'acquirente comune come una produzione imitativa e scadente.

Caratteristiche: il tappeto ha un'armatura lana su lana (con lane di ottima importazione e quindi non pakistane), nodo aperto, densità media, decori caucasici e colori antichizzati da procedimento di lavaggio MIGO. Ne esce un gradevole tappeto decorativo, di produzione seriale ed imitativa, con un vello in patina e per questo particolarmente delicato. Il prezzo di questa manifattura, che rispetto ad altri prodotti persiani e turchi (anche vecchi) è certamente alto, va tuttavia inquadrato in un contesto di moderna produzione, dove i costi di realizzazione sono certamente differenti da quelli di altre realtà ben più storicamente e tradizionalmente conosciute, e non può quindi stupire più di tanto. Va altresì detto che questo genere di tappeto (proprio per le sue caratteristiche di produzione seriale) con il tempo, diverrà solo un tappeto usato, e mai acquisirà valore.

domenica 22 novembre 2009

Bestiario tappetologico


Ci sarebbe da farci un libro, un vocabolario, un vero e proprio bestiario tappetologico su quante terminologie creative, e strafalcioni vengono coniati e campati in aria da alcuni colleghi del settore per ingenerare nei loro clienti una percezione di maggiore pregevolezza nei tappeti da loro proposti.
Bugie, fantasie, bestialità ed ingenuità corrono e si mescolano, nell'etere e nelle pubblicità sui giornali, mostrando tappeti con nomi improbabili inventati di sana pianta, indicati con provenienze di paesi dai quali non provengono affatto e sovraprezzati per poi farli precipitare ad un prezzo invece che è nella norma.
Sono rimasto allibito l'altro giorno, sfogliando un quotidiano e riconoscendo nella pubblicità di una nota ditta di tappeti, l'immagine di un Saruq americano con sotto la scritta "Saruq" ed un prezzo di 300 euro al mq (prezzo mediamente valevole per un saruq contemporaneo e non certo per un saruq americano). Ma questo è solo un esempio, esistono innumerevoli varianti di storie o di artifizi per vendere qualcosa che altrimenti diverrebbe difficile da smerciare, e così i pakistani diventano uzbeki, vengono chiamati Herat (città afghana) o ushak (realtà anatolica), vengono chiamati Kazak (caucaso) e mille altri nomi più o meno assurdi ed incongruenti. Per aiutare le persone che non sono esperte e pertanto non hanno certo colpe se non quelle talvolta di credere alle favole e ai cantastorie, nei prossimi giorni, Tappetorientale affronterà alcuni dei maggiori inganni/errori nei quali è possibile venire incontro durante un primo acquisto (terminologie, caratteristiche, provenienze, ecc ecc).

sabato 14 novembre 2009

Chi può comprare lo faccia ora!

Il gruppo Cit, una delle maggiori società finanziarie americane dei crediti alle piccole imprese non ce l'ha fatta e nonostante i cospicui aiuti ricevuti dalla Casa Bianca (circa 2,3 miliardi di dollari) ha deciso di avviare le procedure fallimentari per l'amministrazione controllata, facendo ricorso al cosiddetto chapter 11.
Con i suoi 71 miliardi di dollari di attività, il fallimento della Cit è il quinto per dimensioni della storia degli Stati Uniti, alle sole spalle di quelli di colossi come Lehman Brothers, Washington Mutual, Worldcom e General Motors. Ma è la prima azienda a fallire dopo essere stata salvata dal governo. Tutto questo ci fa ben capire che la crisi è ben lungi dall'essere terminata e che anzi si preludono momenti di crisi internazionale (che al di là dei governi) proseguirà a farsi sentire penosamente nelle casse dei paesi ed in quelle dei cittadini. La crisi ovviamente colpisce anche i beni ritenuti più voluttuari e paradossalmente quelli della fascia ritenuta benestante, compreso il settore dei tappeti e dell'alto antiquariato. Non può essere sfuggito ad esempio ai più attenti il fenomeno tutt'ora in evoluzione delle aste, da prima adeguatesi alla crisi proponendo pezzi interessanti a prezzi minimi, ora in alcuni casi, adirittura con la decisione drammatica di sospendere le aste dei tappeti. Inoltre d'ora in poi i risultati delle aste (in termini di valore di aggiudicazione) non verranno più resi pubblici, in base alle richieste dei clienti e delle norme sulla privacy, con ovvie conseguenze nel mondo delle valutazioni di mercato che diverranno ormai solamente indicative. Dietro alle ansietà d'asta esiste una congiuntura economica e sociale; la crisi economica produce infatti anche la reimmissione nel mercato di numerosissimi esemplari da collezione che taluni manager, e collezionisti si vedono costretti a rivendere per liquidizzare. L'articolo tappeto non solo quindi scende di prezzo per deflazione ma anche per inflazione.
In conclusione: è un momento tutt'altro che felice, tanto per l'economia quanto per il tappeto d'arte o di alto antiquariato, e probabilmente sarà un periodo anche molto lungo, ma è pur sempre un momento che alla fine passerà e che determinerà (lo sta già facendo del resto) un ritorno ad un'economia fatta di cose concrete, tappeti compresi. E' inutile dire che di fronte a questa eccezionalità del momento, chi ha i soldi per poter comprare tappeti non può che fare affari, e sarebbe davvero stupido perdere quest' occasione.

venerdì 6 novembre 2009

Manca la buona creanza


Ieri l'altro, una persona, ha pensato di richiedermi informazioni su di un determinato tappeto afghano, utilizzando in maniera poco urbana il libro degli ospiti del blog. Al di là della sede poco opportuna (esistono contatto email e sezione sportello lettori per questo genere di richieste) la domanda posta è stata formulata in maniera così scarna e schematica da farla percepire a chiunque la leggesse che rispondere fosse quasi dovuto. Chiariamo da subito che nessuno mi paga per scrivere in questo blog, ne tantomeno per fornire informazioni, lo faccio per passione e per aiutare il pubblico alle volte disorientato, non certo per aiutare chi invece pone domande come se questo fosse uno sportello ed il suo autore un impiegato statale. La risposta a questo genere di domande scarne non può che essere altrettanto scarna e peraltro pubblicata più per altri eventuali lettori che per la persona che ha formulato le due righe in questione. Rispondo quindi che Hazla è un tappeto pakistano e non afghano di qualità "ziegler" una delle innumerevoli varianti.

mercoledì 4 novembre 2009

Simboli ufologici nei tappeti?

Da qualche giorno un contatto sul forum Infotappeti con il nome in codice Arpio, ha aperto un confronto sulla possibilità che nell'iconografia dei tappeti orientali esista una qualche traccia o impronta di ricordi remoti, di avvistamenti e contatti ufologici da parte di quelle popolazioni originarie e che ancora oggi annodano tradizionalmente tappeti. L'ipotesi è suggestiva ma anche abbastanza perniciosa, proprio per la natura ostica dell'argomento.


Interpretare un tappeto odierno come la riproduzione stanca e tradizionale di una primitiva stele di rosetta ufologica, è un compito che credo spetti sicuramente di più ai paleoufologi che ai mercanti di tappeti; ma è anche vero che un esperto in tappeti possa aiutare a fare un po di luce, concorrendo a smontare o avvalorare questa controversa teoria. L'inusuale topic ha aperto un dibattito all'interno del forum, interessante è stato ad esempio sapere che proprio due edizioni fa a Sartirana (2008), durante una delle tante conferenze sui tappeti, è stato proprio affrontato questo argomento, non so però con quali risultati.

Per chiarirmi le idee ho contattato quindi il collega Barry O'Connel di Spongobongo, che si è subito dimostrato incuriosito, e mi ha assicurato di interpellare prossimamente le sue fonti persiane in merito. Cercando notizie su internet ho scoperto, che nel campo dei segni e dei simboli, a parte qualche opera ritenuta fondamentale come "Qualcun'altro sulla Luna", (1978), di George Leonard, la cosidetta cipeologia è scarsa di informazioni e di ricerche approfondite. Proprio nell'opera citata, si analizzerebbero le foto inviate dalle esplorazioni spaziali della superficie lunare. George Leonard affronta le più note ed inspiegabili conformità del terreno, alle quali la Nasa non ha potuto dare ancora una precisa, chiara ed univoca risposta. Egli menziona ad esempio vari simboli trovati sulla superficie del”nostro” satellite: apparenti enormi F e G all’interno di parecchi crateri, dove sarebbero stati individuati anche segni che assomigliano alle lettere A, X e P. Quello che però attira di più l'attenzione è il simbolo che l'autore definisce “albero della vita” (forse simile a quello delle nostre civiltà antiche?) e che secondo le rilevazioni, appare spesso riprodotto sulla Luna, quasi sempre circondato da un ovale o da un cerchio. Tenendo tutti e due i piedi ben piantati per terra, ritengo che l'argomento meriti comunque un approfondimento, e per questo mi riprometto di ritornare a trattarlo in queste pagine nei prossimi giorni, nell'attesa ovvia di ulteriori sviluppi.

domenica 1 novembre 2009

Tappeti di lana e lacrime - mostra fotografica di Armin Wegner

Una mostra fotografica che ripercorre, attraverso le immagini del poeta Armin Wegner, il dramma e la diaspora armena del 1915 e la nascita di una comunità e di una manifattura di tappeti armeni in Puglia è stata inaugurata venerdì 30 ottobre, alle 18.30, nei locali della Fondazione Banca del Monte Siniscalco Ceci di via Arpi 152. Intitolata Armin Wegner e gli Armeni in Anatolia, 1915 – Nor Arax: la comunità armena a Bari, questa mostra resterà aperta fino a giovedì 12 novembre; successivamente, si trasferirà a Bari dove verrà ospitata dal Fortino di Sant’Antonio. A rendere possibile l’iniziativa, l’impegno appassionato di Stefan Nienhaus, docente di Letteratura Tedesca presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Foggia. Armin Wegner era un poeta tedesco, che a quei tempi prestava servizio come ufficiale sanitario in Turchia. Rischiando la sua stessa pelle, Wegner documentò il dramma armeno con la sua macchina fotografica. Il Nox Arasse cui fa riferimento il titolo della mostra è il Nuovo Arasse (è il Po degli armeni, qualcosa di più di un grande fiume): questo era il nome del villaggio che venne fondato alla periferia di Bari intorno al 1926. Qui, forti di una maestria secolare, i profughi continuarono a intrecciare pregiatissimi tappeti, dai colori e dai disegni inconfondibili: ancora oggi, la famiglia Timurian è attiva nel capoluogo pugliese nella commercializzazione di questi capolavori artigianali, proseguendo l’attività avviata quasi un secolo fa dal loro avo Diran, che già all’epoca finiva – attraverso i suoi manufatti – nelle più belle case baresi. In esposizione, dodici pannelli fotografici, opera di Claudio Grenzi, che raccontano la costruzione del villaggio e la lavorazione dei tappeti, la vita nel villaggio e la Casa dei bambini. Proprio uno di quegli splendidi tappeti viene esposto nella mostra foggiana, per permettere a tutti i visitatori di ammirare con i propri occhi un esempio concreto di questa forma di artigianato che, per accuratezza e creatività, assume i contorni di una vera arte e parla di un popolo, di una tragedia, di un esempio di dignità.

http://www.fondazionebdmfoggia.com/
http://www.claudiogrenzi.it/

Articolo tratto e adattato da: http://www.viveur.it/magazine/articolo.asp?id=11567